Il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha incontrato ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant per fare pressione su Israele affinché riduca l’intensità delle operazioni militari e passi a una fase più «chirurgica» della guerra. Austin ha detto che proteggere i civili a Gaza è «insieme un dovere morale e un imperativo strategico».
È un dovere morale perché, ha ripetuto ieri la Casa Bianca, «il giusto numero di civili uccisi in un conflitto è zero». Ma è anche un imperativo strategico, perché da come verrà condotta l’eliminazione di Hamas da Gaza dipenderanno il consenso globale sulla crisi, e la definizione di un dopo che riporti la stabilità nella regione.
Il ministro della Difesa Gallant ha risposto dando un segnale diverso rispetto al passato: «Presto saremo in grado di distinguere tra le diverse aree di Gaza. In quelle dove abbiamo raggiunto i nostri obiettivi potremo iniziare una transizione graduale verso la nuova fase e cominciare a far tornare la popolazione locale».
Austin, dopo aver visto Netanyahu, ha stabilito alcuni punti fermi nell’incontro con la stampa. «Il sostegno degli Stati Uniti per Israele è incrollabile e proseguirà. Continueremo a fornire l’equipaggiamento necessario, incluse munizioni, veicoli tattici e sistemi di difesa aerea. E appoggeremo gli sforzo di liberare gli ostaggi», ha detto. «Questa è un’operazione israeliana e io non sono qui per dettare i tempi o i termini».
Però, dietro le quinte, Washington si aspetta nel giro di tre settimane un cambio di strategia, dai bombardamenti diffusi che colpiscono anche i civili a operazioni mirate contro i terroristi e la loro leadership: «Hamas usa i civili come scudi, colloca i quartier generali e i siti logistici vicino a ospedali, moschee, chiese. Ciò aumenta la complessità e costituisce un ulteriore onere per le forze che porteranno avanti questa lotta. Richiede una forza molto professionale, che deve imparare ogni passo del percorso». In altre parole, reparti speciali capaci di entrare e uscire rapidamente dalla Striscia per condurre raid mirati, con l’aiuto dell’intelligence americana.
Intanto il Consiglio di sicurezza dell’Onu resta diviso sulla ultima risoluzione redatta da Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti che chiede l’interruzione delle ostilità a Gaza per permettere l’accesso degli aiuti umanitari. Il voto è slittato a oggi. Gli Emirati hanno chiesto ieri un rinvio di ventiquattr’ore per permettere ai negoziati di andare avanti e trovare la formula che accontenti tutti. Per essere approvata, la risoluzione ha bisogno di almeno nove voti su quindici e nessun veto da parte dei cinque Paesi membri permanenti: Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito.
Gli americani vogliono attenuare l’impatto delle definizioni, preferendo l’espressione «pause umanitarie» invece di «cessate il fuoco», definizione non accettata da Israele e considerata un’opzione che darebbe alle milizie paramilitari di Hamas il tempo per riorganizzarsi.
La complessa partita diplomatica in corso non si ferma però al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Parallelamente, a Varsavia il capo del Mossad David Barnea, il premier del Qatar Sheikh Mohammed Al Thani e il capo della Cia William Burns si sono incontrati per saggiare la possibilità di riaprire i negoziati sulla tregua e su un nuovo scambio tra ostaggi e detenuti palestinesi.
Ma sul nascere della trattativa è piombato un nuovo video diffuso da Hamas con un intervento di tre anziani ostaggi israeliani ancora in cattività nella Striscia. «Un video terroristico criminale», lo ha liquidato il portavoce militare Daniel Hagari, nel quale i tre rapiti affermano di non voler morire sotto i raid del loro stesso esercito e invocano la liberazione «a qualunque costo».
Sul terreno intanto l’esercito israeliano appare aver preso saldamente il controllo di Beit Hanoun, nel nord della Striscia, conquistando le roccaforti di Hamas. A Gaza City il portavoce militare ha annunciato che sono stati catturati molti miliziani, tra cui alcuni di quelli responsabili dell’attacco del 7 ottobre.