Pubblichiamo un brano del nuovo romanzo di Eduardo Savarese “Le Madri della Sapienza” (Wojtek Edizioni). Protagonista è il nuovo primo ministro, Anselmo Riccardi, nato dalla gestazione per altri, con l’ossessione di rifondare la famiglia tradizionale. In questo brano lo vediamo pochi minuti prima dell’insediamento, alle prese con la lista dei ministri e con il suo primo obiettivo: lo scioglimento dell’ordine neo-monastico “Le Madri della Sapienza” che a dispetto del nome è stato fondato, ed è composto, da anziani omosessuali.
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Il colloquio col Presidente della Repubblica durò poco. L’ottantenne capo dello Stato fu cortese, quasi sbrigativo: c’erano pochi margini per discussioni e trattative, l’alleanza capitanata da Anselmo Riccardi aveva ottenuto una vittoria schiacciante, era naturale affidare a lui l’incarico di premier.
Il Presidente pareva sollevato: si trovava di fronte a un uomo attento, intelligente, di bell’aspetto, con una salda vita politica alle spalle e una formazione economica in grado di rassicurare i mercati e gli investitori.
Anselmo nascondeva la sensazione di ebbrezza che gli faceva schizzare l’adrenalina soprattutto nelle ore notturne. Celava la gioia della vittoria sotto un velo malinconico per il lutto paterno. Che gli faceva gioco, almeno in questo. Il suo esperto per la comunicazione, Gildo – uomo femmineo e, per voce e aspetto fisico, di una monotonia sconcertante se confrontato alle idee scoppiettanti che partoriva alla velocità della luce – gli aveva preparato alcuni dossier sugli aspetti più significativi e, come diceva, “simbolici” dell’attualità del paese che Anselmo si accingeva a governare.
Tra quelli più urgenti, nell’ordine, Gildo aveva messo in risalto la questione degli impianti industriali inquinanti al Sud, con le tensioni ancora tutte da risolvere tra il precedente governo e gli investitori stranieri; la regolamentazione degli afflussi di migranti dal Medio Oriente; e le informazioni riservate del Ministero degli Interni sul rischio di attentati a un atipico monastero, antichissima struttura un tempo benedettina, sopra una minuscola isola in mezzo a un lago salato, che ospitava da qualche anno una specie di ordine neo-monacale, le Madri della Sapienza, composto in gran parte di relitti umani e sociali: gay, lesbiche, transessuali e così via.
L’ordine professava a parole la stretta aderenza al cattolicesimo, ma vasti movimenti del mondo cattolico (ormai frammentato in mille rivoli) lo osteggiavano strenuamente. Si trattava di un ordine autoproclamatosi tale, indifferente, a quanto pareva, ad ottenere qualunque legittimazione ufficiale. Il problema, da faccenda religiosa, si era però trasformato in questione di ordine pubblico quando, dopo la prima apparizione del priore delle Madri in televisione, nella quale si era dichiarato favorevole all’omogenitorialità proprio a ridosso delle elezioni, una vasta congerie di movimenti, tutti di ispirazione religiosa ultra ortodossa, nazionali e transnazionali, si era ritrovata a assediare il monastero, occupando le acque con una miriade di piccole imbarcazioni e esibendo slogan come: “Liberiamo il santo monastero dai sodomiti”, oppure “La famiglia naturale non si tocca e la famiglia degli ordini religiosi neppure” o, ancora, “I santi non possono intercedere per noi se le Madri non scompaiono”.
Anselmo non ebbe dubbi: l’occasione più ghiotta per iniziare a mettere ordine, a segnare una forte discontinuità col governo precedente, e a scaricare le tensioni sociali e economiche crescenti nel Paese su un buon capro espiatorio, era offerto proprio da quelle ridicole Madri della Sapienza.
Costituivano la più perfetta opportunità di testare il procedimento che prediligeva, il bastone e la carota, una finzione di mansuetudine e di apertura al dialogo con tutte e tutti, dietro cui si avverava l’imposizione della sua volontà: se fosse riuscito a chiudere il monastero, proteggendo l’ordine altrove, avrebbe conseguito una prima vittoria. E, soprattutto, doveva ottenere il risultato di indurre il priore di quelle inutili creature a ritrattare le sue dichiarazioni sull’omogenitorialità: la bagarre attorno alle Madri fungeva da pretesto per varare subito il divieto di ogni forma di adozione o gestazione per altri, e di ogni loro riconoscimento, quando effettuata in altri paesi.
Ora lo aspettavano i maggiorenti del partito e gli esponenti di spicco dell’alleanza di Governo. Anselmo fece ingresso nel salone con un sorriso smagliante, spandendo il profumo virile di un’antica acqua di colonia e stringendo mani, compiaciuto degli sguardi ubbidienti, ma non tutti fedeli. Si annidava tra loro, soprattutto tra i compagni di partito e gli alleati del prossimo governo, un Giuda Iscariota, forse più d’uno, qualcuno pronto a colpire per delegittimarlo, annientarlo e sostituirlo.
Anselmo non aveva stima di nessuno, ammirava soltanto il fiuto politico di un paio di suoi fedelissimi, e ambiva a un governo autorevole e smarcato dagli arnesi più vecchi e insopportabili della destra.
«Carissimi, Gildo ha predisposto un foglio con la squadra di Governo secondo gli accordi siglati stanotte».
I presenti scorsero rapidamente i nominativi, sembrava tutto confermato, ad eccezione del prescelto al dicastero della famiglia. La figura su cui fino alla sera precedente c’era stata ampia convergenza era quella di una senatrice di grande esperienza, militante di un’organizzazione politica cattolica ben ramificata e strutturata, e abbastanza untuosa. La donna, sui cinquant’anni, monacalmente brutta, parlava sempre con grande pacatezza, ma era stata la roccia di tutte le battaglie conservatrici nei campi della famiglia, dei diritti della persona e della bioetica. Invece, nel foglio che il loro quasi premier aveva sottoposto, non c’era più il suo nome, ma quello di un giovanissimo uomo del Nord, sposato e padre di quattro bambini, amante del calcio e degli sport in montagna, biondastro e rubicondo, devoto di Anselmo sin da quando il partito lo aveva nominato segretario nazionale.
«Teodoro Bonsignori?», chiese, interrogativo, uno dei maggiorenti anziani, che Anselmo detestava per l’addome strabordante e l’assenza di collo. Ma era un uomo potente, e il potere andava sempre blandito e rispettato. Anzi, come ribadiva costantemente Ulrica, andava sempre e comunque adorato, in ogni sua forma e espressione.
«Ho pensato che, per combattere le nostre battaglie, abbiamo bisogno di un nome nuovo, di una fisicità fresca e giovane, di una comunicazione avvincente: Bonsignori è capace di assicurare tutto questo», garantì Anselmo.
«In ogni caso, è un ministero del cazzo, e di questa cazzo di famiglia non gliene fotte niente a nessuno, quindi per me ci puoi mettere anche Geppetto o la Fata Morgana». La sentenza era provenuta da Elvio Sanmarchese, uno dei fondatori dell’alleanza elettorale capitanata da Anselmo. Uomo delle istituzioni, magistrato fuori ruolo, spietato e cinico, avversava il disordine delle libertà democratiche, mascherando bene il suo odio sotto un linguaggio pubblico ineccepibile e sempre politicamente corretto. In privato dava il meglio di sé. Anselmo ne era disgustato, ma ne aveva bisogno.
«Non so se hai ragione, Elvio. È strano, perché tu hai sempre ragione, come tutti i magistrati, soprattutto quelli fuori ruolo». I presenti scoppiarono a ridere all’unisono. Anselmo illustrò il dossier sulle Madri della Sapienza. Soltanto i suoi due fedelissimi, poco più giovani di lui, ne sapevano qualcosa. Dopo commenti e contumelie feroci, decisero che, politicamente e mediaticamente, bisognava partire da dove il governo precedente aveva perduto fiducia in Parlamento: un disegno di legge sull’omogenitorialità. E, allo stesso tempo, usare il monastero come mezzo esemplare della politica del governo e delle capacità di mediazione e guida del brillante, giovane primo ministro. Lo stesso partito di Anselmo, d’altra parte, aveva siglato un patto chiaro con il nucleo più conservatore della chiesa cattolica, che si era compattato intorno a papi miti e tradizionalisti. La riunione si sciolse e Anselmo entrò nel suo studio. Sedette in poltrona, fissò la grande tela che affiancava la porta d’ingresso. La Sapienza che sconfigge la Vanità e il Tempo. Le Madri della Sapienza! Che gente!
Tratto da “Le Madri della Sapienza” (Wojtek Edizioni), di Eduardo Savarese, 18€, pp. 351