«In mezzo a un fitto bosco un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti». È l’incipit del “Castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, grande favola sul senso, o il mancato senso, delle cose. Castel Sant’Angelo, a Roma, dove trovarono la morte papi, soldati, Tosca e il suo Cavaradossi, è vicino alla Mole Adriana, lì vi giganteggia. Alla Mole si svolgerà Atreju, la cosiddetta «festa dell’orgoglio italiano», insomma per farla breve una piccola Woodstock della destra italiana giunta al potere più che al governo.
Castelli incrociati, e destini, quelli di Giorgia Meloni ed Elly Schlein, sembra che, come nel tango, al movimento dell’una corrisponda quello dell’altra e così il derby di questo weekend è tra l’evento di destra, sfarzoso negli intenti come una festa di Gatsby, e la più tradizionale e seriosa due giorni del Partito democratico chiamata senza troppa fantasia «l’Europa che vogliamo» che si terrà presso degli studi cinematografici in disuso sulla via Tiburtina: distanti anche fisicamente, le due donne della politica.
La grande notizia di ieri è che ad Atreju si presenterà Elon Musk per la gioia di grandi e piccini, il Ricchissimo che si è messo in tasca Twitter e che non disdegna le teorie politiche più o meno vergognose di questo momento storico, tra l’altro è sospettato (e qualcosa di più) di antisemitismo, insomma Musk l’Insopportabile che adora l’Italia fino al punto di andare a baciare la pantofola di Giorgia, la Reginetta d’Italia, facendosi largo tra Giovanni Donzelli, Fabio Rampelli, Francesco Lollobrigida e tutto il cucuzzaro di governo. Già questa presenza assicurerà sul piano della copertura mediatica un 6-0 6-0 a favore di Atreju.
Elly che lì non ci è voluta andare ha pensato bene di parare il gran colpo mediatico della rivale (magari è solo un caso ma facciamo finta che ci sia una strategia comunicativa) con questa iniziativa sull’Europa alla quale ha chiamato i vecchi leoni del Pd e dell’Ulivo a partire da Romano Prodi, al momento l’unico vero federatore della storia del centrosinistra (poi gli strapparono la federa ma questo è un altro discorso), e con lui due big della Margherita (ricordate?), uno divenne segretario del Pd, Enrico Letta, il perdente di successo, e l’altro presidente del Consiglio, oggi commissario Ue e forse futuro federatore – se non gli fanno le scarpe prima – cioè Paolo Gentiloni. Ed è da loro che si attendono parole chiare sulla linea da seguire sulle due guerre in corso, linea che ha dato preoccupanti segni di sbandamento, che è ovvio in un partito che comprende Sandro Ruotolo e Lorenzo Guerini tra i quali passa un solco di alcuni chilometri.
É molto difficile che dai vecchi capi giungano chissà quali notizie, non è da loro e forse non è nemmeno la sede giusta, eppure sarebbe bello sapere con quale linea generale il Pd va verso le Europee, per dirne una, se sulle liberalizzazioni ha una posizione aperta, alla Gentiloni appunto, oppure no. Dunque i discorsi che si faranno alla riunione del Pd andranno soppesati e analizzati bene, perché dagli studios sulla Tiburtina la stessa Schlein potrebbe fornire delle indicazioni chiare sulla politica internazionale del suo partito, alzare un po’ il livello di un dibattito pubblico ridotto a chiacchiere da sala d’aspetto, è qui che si misura la forza della segretaria, non su altro.
Dall’altra parte invece, all’ombra del Castello, il clima sarà meno serioso nel senso che l’orgoglio italiano è destinato a sovrastare il messaggio politico, ammesso che ci sarà, con questa grande zuppa con Edi Rama e Paola Concia, il già citato Musk e Luciano Spalletti, Matteo Renzi e i vari ministri fino a (orrore) Santiago Abascal, leader dei fascisti spagnoli, quello che vuole appendere Pedro Sanchez per i piedi, come capitò al Mascellone, così chiamato da Gadda, tanto amato tra le frasche della Mole Adriana.
Mentre quelli del Pd parleranno tra di loro sul da farsi in una situazione politicamente mai per loro così buia, i governanti del Paese si divertiranno a glorificarsi a vicenda per dare l’idea, ancora una volta nella politica italiana, di essere una specie di Partito della Nazione: non tanto nel senso stretto del nazionalismo che gli è proprio ma in quello di voler rappresentare l’ultimo spettacolo di quell’Italia destrorsa che gode un successo insperato e tosto che pur non facendo niente, o forse proprio perché non fa niente, sembra non avere problemi, questo dicono i sondaggi: quegli altri, il Pd, parlino pure dei grandi temi, noi all’ombra di Castel Sant’Angelo ce la spassiamo, venghino siori che qui c’è l’uomo più ricco del mondo.