City of Blinding Lights Luminarie a profusione, alberi decorati e volatili imbottiti nel Natale degli States

Il tacchino farcito – o meglio, come direbbe Sally-Meg Ryan, con la farcitura a parte – è l’emblema culinario delle feste natalizie americane. Vi raccontiamo la sua storia e vi lasciamo in regalo anche la ricetta

Foto di Kaydn Ito su Unsplash

Il Natale americano non ha una tavola apparecchiata come momento clou dei festeggiamenti.

Il Natale americano si celebra attorno all’albero, a cominciare dall’accensione a fine novembre di quello al Rockfeller Center di New York di cui oggi, con i social, conosciamo ogni singolo passo: dalla foresta dove è stato preso, al viaggio verso la città, fino all’accensione che raccoglie migliaia di persone accalcate già molte ore prima e trasmessa in diretta televisiva.

Il Natale americano è fatto di luminarie, come quelle incredibili che caratterizzano le case di Dyker Heights, quartiere di Brooklyn diventato oramai meta turistica.

Dyker Heights, foto di Gautam Krishnan su Unsplash

La festa della tavola per ogni famiglia americana è il giorno del Ringraziamento che cade il quarto giovedì di novembre. Da diversi anni è la vigilia del Black Friday: il giorno dei grandi sconti per gli acquisti, oramai soprattutto su Amazon e comunque nell’e-commerce.

Il Thanksgiving Day nasce come festa religiosa protestante per ringraziare dell’abbondanza del raccolto, ma oramai è completamente laicizzata, ma senza diventare eccessivamente commerciale, proprio perché il cuore della festa sta nel sedersi a tavola in famiglia per mangiare il tacchino ripieno: che come vedremo non è proprio ripieno.

La tradizione vuole che alla vigilia il Presidente degli Stati Uniti liberi due tacchini salvandoli dal forno e dal ripieno. Un’usanza nata durante la guerra civile quando Tad, il figlio di Abraham Lincoln, chiese al papà di salvare il suo tacchino preferito che si chiamava Jack, ma diventata ufficiale con la cerimonia a Washington negli anni Sessanta su iniziativa di John Fitzgerald Kennedy. I volatili di quest’anno, che hanno scorrazzato salvi sul prato della residenza presidenziale, si chiamavano Liberty e Bell.

Salvati questi due ce ne sono quarantacinque milioni che finiscono sulle tavole dei 50 Stati dell’Unione e molti altri Paesi del mondo dove la festa è stata esportata.

Il tacchino che si usa cucinare per la festa del ringraziamento è una specie particolare, dal piumaggio completamente bianco, diverso quindi da quelli che vediamo abitualmente scorrazzare nelle nostre cascine.

La ricostruzione storica vuole che la tradizione di sedersi a tavola nell’ultimo giovedì di novembre sia stata introdotta da George Washington che aveva addirittura mandato il suo cuoco personale, Hercules Posey, a Parigi per raffinare le tecniche. Una concessione enorme, perché Posey non era altro che uno schiavo, privilegiato perché invece di spaccarsi la schiena nei campi di cotone aveva una mansione importante, ma non era padrone della sua vita, un qualche errore avrebbe potuto costargli caro.

Non c’è certezza che nel pranzo di allora ci fosse già il tacchino, ma nella ricetta tradizionale c’è un dettaglio molto francese. Il gravy, la salsa che viene usata per condire la carne, altro non è che un fondo di cottura.

@Stefano Vegliani

Le ricette sono infinite, perché di fatto ogni famiglia ha la sua, spesso legata alle origini di provenienza. C’è chi nel ripieno mette le castagne, chi addirittura le ostriche, chi il bacon o carne tritata, chi i marshmallow, il pane raffermo però non può mancare.

Molto importanti sono anche gli accompagnamenti, alcuni proprio legati alla tradizione del pranzo del ringraziamento come i broccoletti di Bruxelles, la salsa di cranberries e un purè o la torta di zucca. Il tacchino può essere disossato, ma non è indispensabile, la parte di carne bianca (il petto) viene servita a fette e condita con il famoso gravy, invece la parte delle carni più scure viene servita sfilacciata e assieme ai side e al ripieno “stuffing”, che come vedremo nella ricetta in realtà è preparato a parte.

Preparazione del tacchino ripieno
Il tacchino deve pesare all’incirca cinque chilogrammi, considerata la pezzatura giusta per dieci persone.
In una ciotola ammorbidire burro con sale, pepe, aglio schiacciato, zest e succo di limone, prezzemolo, un goccio di olio di oliva fino a quando non diventa una pomata.
Salare e pepare l’interno del tacchino, inserire una cipolla tagliata in due, un limone, alloro, salvia, spezie secondo il proprio gusto.
Delicatamente staccare la pelle del tacchino dalla carne, stando attenti a non strapparla, in modo da poter inserire il burro pomata e distribuirlo, spalmare il burro anche sulla pelle, infine anche un filo d’olio. Un’operazione che si può fare anche il giorno prima di cuocere mettendo il tacchino a riposare in frigo.
Accendere il forno a 220 gradi e infornare il tacchino per dieci minuti. Si può quindi fasciare il tacchino con del bacon pancetta e comunque bagnarlo con il suo liquido. Cuocerlo per due ore e mezza oppure calcolare mezz’ora per ogni chilo. Lasciarlo quindi riposare per altre due ore e mezza scoperto fuori dal forno.
Ridurre il grasso di cottura con le verdure che erano state inserire all’interno del tacchino, la pancetta/bacon con cui era stato fasciato e qualche parte del tacchino come le ali o il collo che altrimenti sarebbero di scarto, aggiungendo brodo di pollo. Filtrare e metter da parte.
Si chiama ripieno, ma in realtà si prepara a parte con pane raffermo, carne trita o salsiccia, cipolla, porro, aglio, due uova, brodo di pollo, latte.
Tostare il pane nel forno a 180 gradi per quindici minuti.
Rosolare cipolla, porro, aglio, eventualmente la carne con il burro e metterli da parte.
Mescolare in una ciotola uova, latte e brodo, aggiungere fiocchi di peperoncino, sale, pepe e erbe aromatiche.
Unire il pane tostato, eventualmente con la carne o salsiccia, con la parte liquida e lasciar riposare una decina di minuti, poi infornare a 190 gradi per venti minuti.
Quindi servire il ripieno a fianco della carne, oppure riempire il tacchino prima dell’ultimo ripasso in forno per poi servirlo.

@Stefano Vegliani

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