Riti formaliPerché due mesi dopo le elezioni la Polonia non ha ancora un nuovo governo

L’11 dicembre, il leader sovranista di PiS, Mateusz Morawiecki, chiederà la fiducia per il suo esecutivo ma non ha abbastanza seggi per governare da solo. Il Parlamento nominerà così un nuovo candidato premier, che con ogni probabilità sarà Donald Tusk

LaPresse

I risultati elettorali del 15 ottobre ci avevano consegnato l’immagine di una Polonia che aveva deciso di voltare pagina. Dopo otto anni di governo sovranista e populista a marchio PiS (Diritto e Giustizia), una tornata elettorale con affluenza record – aveva votato il settantaquattro per cento degli aventi diritto – aveva sancito la volontà di affidare le chiavi del Paese a quella che fino a quel momento era stata definita l’opposizione democratica, ovvero l’asse rappresentata dai liberali di Coalizione Civica, da centristi di Terza Via e dai progressisti di Nuova Sinistra. 

Missione impossibile
Una cosa era però chiara fin da subito: i tempi per arrivare a un effettivo cambio di governo non sarebbero stati brevi. Da subito PiS aveva annunciato l’intenzione di voler provare a guidare un nuovo esecutivo contando sul fatto di essere il partito più votato (35,4 per cento delle preferenze), sebbene fosse chiaro a tutti che questo sarebbe stato pressoché impossibile. Troppi i seggi necessari per raggiungere la maggioranza parlamentare di duecentotrentuno deputati. Il risultato elettorale ne aveva consegnati a PiS solo centonovantaquattro. Le politiche e i toni radicali adottati dal partito di Jarosław Kaczyński in questi anni, lo hanno sì rafforzato in termini numerici, ma gli hanno anche precluso il dialogo con gli altri soggetti da politici. Da subito anche l’estrema destra di Konfederacja, unica possibile sponda, ha comunicato di non volerne sapere di un governo di coalizione. La somma dei deputati dei due partiti sarebbe stata peraltro comunque insufficiente. 

A fronte di questa situazione, inedita per la politica polacca, la decisione del presidente Andrzej Duda è stato quella di affidare comunque la missione esplorativa per la formazione di un governo a Morawiecki. Una scelta controintuitiva, motivata con la volontà di rimanere nella «buona tradizione parlamentare» di affidare l’incarico al partito più votato. Duda ha anche sottolineato come l’opposizione democratica non avesse ancora sottoscritto un accordo di coalizione. Questo è vero, le firme ufficiali sono arrivate solo un paio di giorni più tardi, ma l’accordo era stato pubblicamente anticipato sulla stampa dai vari leader. La decisione di Duda può comunque essere letta anche in termini di calcolo politico. L’attuale presidente polacco lascerà il suo incarico tra due anni, e a quel punto è presumibile che punti a capitalizzare la sua esperienza per prendere in mano le redini di PiS. 

L’inizio dei lavori parlamentari
In questo clima il 13 novembre è iniziata ufficialmente la nuova legislatura, con le votazioni dei presidenti della Camera (Sejm) e del Senato. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi sulla tenuta della nuova maggioranza, questi sono stati spazzati subito via. PiS è finito sotto in tutte le votazioni. A capo del Sejm è stato eletto Szymon Hołownia, leader di Polonia 2050 (Terza Via), che da subito ha dovuto utilizzare il suo carisma e la sua passata esperienza come conduttore televisivo per tenere a bada la bagarre e i tentativi di ostruzionismo messi in campo da PiS. Anche grazie a Hołownia c’è da registrare un particolare fenomeno: nel giro di due settimane il numero di iscritti al canale Youtube del Sejm è raddoppiato, passando da duecentomila a più di quattrocentomila. 

Nonostante le difficoltà, Morawiecki ha usufruito dei quattordici giorni concessi per la formazione di un governo. Il premier uscente ha più volte dichiarato di essere intenzionato a formare un esecutivo di discontinuità con quelli precedenti. Il 27 novembre, davanti a Duda, ha giurato quello che è stato definito «il governo delle due settimane». Una formazione quasi completamente rinnovata rispetto alla compagine uscente, proprio nella speranza di ottenere l’appoggio dei deputati esterni a PiS.

Il giorno decisivo sarà quindi l’11 dicembre. In mattinata Morawiecki terrà il cosiddetto exposé, in cui illustrerà il programma del suo governo. Nel pomeriggio, il voto di fiducia, che dovrebbe essere l’atto conclusivo della sua esperienza da primo ministro. Le speranze di farcela sono nulle. Ci si è domandati molto sulle motivazioni che lo hanno portato ad accettare quella che è stata da molti una missione suicida. Se per PiS l’allungamento dei tempi tecnici ha potuto portare dei benefici, come ad esempio la possibilità di effettuare ulteriori nomine favorevoli in organizzazioni parastatali o di riorganizzare la propria struttura sul territorio, per Morawiecki si fa fatica a prevedere il futuro politico dopo lunedì.

Dopo il passaggio del voto di fiducia toccherà al Sejm dovrà nominare un nuovo candidato premier, che con ogni probabilità sarà Donald Tusk. In queste settimane il leader di KO (Coalizione Civica) in concerto con gli alleati ha già preparato la sua compagine di governo e le linee programmatiche, quindi i tempi per le formalità dovrebbe essere abbastanza veloci. Duda dovrebbe ricevere Tusk per il giuramento il 13 dicembre, ma su quello che accadrà quel giorno permane ancora un filo di suspense. 

Ancora la Lex Tusk
Qualche giorno fa, poco prima di essere licenziata e rimpiazzata da una nuova formazione, la Commissione anti influenze russe nominata dal precedente parlamento per investigare su eventuali ingerenze di Mosca nella politica polacca tra il 2007 e il 2022, ha espresso una raccomandazione “parziale” di non affidare incarichi pubblici proprio a Donald Tusk e ad alcuni ex membri del suo precedente governo. Si è materializzato quindi lo scenario paventato dall’ex opposizione democratica, secondo cui la Commissione sarebbe stata istituita proprio per colpire il leader liberale. 

La versione originale di quella che non a caso era stata ribattezza “Lex Tusk” prevedeva l’interdizione dai pubblici uffici per dieci anni, ma a seguito delle vibranti proteste dell’opinione pubblica e dell’Unione europea, quella disposizione era stata tolta. Rimane tuttavia il parere, e ci si chiede se questo non possa essere preso a pretesto da Duda per non affidare l’incarico a Tusk e ritardare ulteriormente la formazione del governo. Gli esponenti della maggioranza ostentano tranquillità. Le indicazioni giunte dalla cancelleria della Presidenza paiono rassicurare che il parere della commissione non verrà preso in considerazione, anche se sull’argomento il Presidente non si è espresso direttamente. 

Il nodo degli autotrasportatori
Ipotizzando che tutti fili liscio, una delle prime questioni che si troveranno sul tavolo del nuovo governo sarà la protesta degli autotrasportatori al confine con l’Ucraina. Lo stato di agitazione è iniziato il 6 novembre, e ha portato al blocco di quattro (inizialmente tre) valichi confinari, che sta causando code lunghe decine di km e gravi difficoltà all’economia di Kyjiv. Unica eccezione al blocco i trasporti di aiuti militari e umanitari. 

Le istanze presentate dai manifestanti sono diverse, ma quella principale è da ricondurre a un provvedimento preso l’anno scorso da Bruxelles che ha liberalizzato i permessi di circolazione dei camionisti ucraini all’interno dell’Unione europea. Quella decisione, approvata dallo stesso governo polacco, era finalizzata a venire incontro alle difficoltà di un Paese che non può più contare sul trasporto marittimo né su quello aereo. Uno dei suoi effetti collaterali tuttavia è stata quella di contrarre fortemente la quota di mercato dei trasportatori polacchi. 

La questione è delicata, oltre all’aspetto commerciale c’è anche quello dei rapporti tra i due Paesi, già rovinati dalla crisi del grano di qualche mese fa. Sotto accusa c’è proprio Morawiecki, ritenuto colpevole, insieme al suo governo, di non aver tutelato gli interessi della Polonia e di non essersi impegnato attivamente a trovare una soluzioni in questi due mesi di transizione post elettorale. Qualche aspetto minore della vertenza, a dire il vero è stato risolto, ma i nodi principali rimangono sul tavolo, e la protesta va avanti. Tusk, fino a questo momento ha fatto melina, ritenendo la situazione una completa responsabilità di PiS, accodandosi al coro di chi ha accusato il governo di inazione, ma non proponendo delle possibili soluzioni. Dalla prossima settimana però la melina non sarà più consentita e bisognerà cominciare a giocare sul serio. 

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