Che quello della trasmissione di Rai 3 sia un giornalismo a tesi lo sappiamo tutti, e da tempo. Ma quando il tema della puntata è qualcosa di cui hai una conoscenza approfondita, e il settore che viene indagato è il tuo, non puoi far altro che capire ancora meglio qual è lo stile e l’obiettivo finale.
In sintesi, se ve la siete persi: Report ha parlato di enologia, spiegando come molti produttori, enologi e più in generale professionisti del settore siano dei “piccoli chimici” (manco grandi, maledizione), e usino prodotti di sintesi per migliorare mosti e vini, a discapito della salute del consumatore.
Posto che la chimica non è il male in assoluto, visto che tutto quello che ci circonda è governato dalla chimica e da un altro paio di leggi che questi sembrano non tenere a mente. I “composti chimici” formano tutto ciò che ci circonda e che soprattutto assumiamo con l’alimentazione, siano essi composti naturali o di sintesi.
Non sto affatto sostenendo che il nostro settore sia pieno di puristi e santi e che sia tutto falso: ma intanto generalizzare è sempre una pessima idea, e poi se si vuole sovvertire un sistema prima bisognerebbe conoscerlo bene, e avere le giuste armi per spiegare con cognizione di causa che cosa non va.
Quello che mi sento di dire in primis è che nulla di quello che si può mettere nel vino – intendo per legge – è pericoloso per la salute umana alle dosi e nei modi consentiti. Nelle caramelle gommose (gli orsetti, dai…) che date ai vostri figli o nella maggior parte delle bevande gassate c’è più chimica che in una bottiglia di vino qualunque. Per non parlare del prezzo, ma non stiamo qui a fare lamentele.
Ma entriamo nel merito. Non voglio alimentare la polemica, ma solo chiarire meglio alcuni dei concetti emersi dal punto di vista tecnico per aiutarvi a capire perché quello che è stato detto non corrisponde a verità.
Da qui in avanti vi elenco solo alcune delle cose errate e tendenziose che sono state dette durante la trasmissione, le chiameremo “imprecisioni” perché il Direttore non mi permette di utilizzare toni più forti…
Imprecisione numero uno: la bentonite.
Nel video il sedicente esperto di vino incalzato dall’intervistatore afferma che «posso togliere l’acidità a un vino anche tramite la filtratura con la bentonite». Facciamo chiarezza: la bentonite, o forse meglio dire “le” bentoniti, sono di diverso tipo e natura in base all’utilizzo che se ne fa. In parole povere sono delle argille, dei silicati di alluminio, totalmente inerti a livello alimentare, potete andare tranquillamente in farmacia e provare a chiedere della bentonite farmaceutica che può essere ingerita e utilizzata per alleviare e curare diversi malanni. Cosa fa? La bentonite, al pH del vino, ha una carica elettrica negativa mentre le proteine, al pH del vino, hanno una carica elettrica positiva, quindi più o meno come succede alle calamite, si attraggono, si legano formando un flocculo che in genere è troppo grande per restare in sospensione e quindi tende a precipitare.
Detto questo, le proteine del vino, che derivano direttamente dall’uva, non sono quelle animali come viene espresso nell’intervista, ma tendono a intorbidire il vino, soprattutto se esposto a temperature eccessive. Visto che la catena del freddo non è sempre garantita nei mille trasporti subiti da un vino dalla cantina di produzione fino alle nostre tavole, molto spesso, per non dire quasi sempre, è necessario ovviare a questa possibilità di intorbidimento indesiderato da colpo di calore riducendo la quantità di queste proteine all’origine, utilizzando appunto la famigerata bentonite.
Vi assicuro che, visto che la chiarifica con la bentonite e non la “filtratura” (che è scorretto pure in italiano) è un trattamento sottrattivo, viene quindi utilizzato il minimo indispensabile per raggiungere la cosiddetta “stabilità proteica” del vino in esame, le dosi variano da nulla a 100/150 grammi a ettolitro nei casi limite. Avete capito bene: più o meno un bicchiere pieno in cento litri di vino, che viene poi eliminato una volta fatto il suo lavoro. Inoltre, la chiarifica tende a togliere aromi e corpo al vino trattato, quindi non è una pratica messa in opera per sofisticare o per eliminare in maniera fraudolenta qualche difetto, ma per garantire la tanto importante limpidezza visiva del prodotto finito che arriverà sulle nostre tavole.
Imprecisione numero due: i lieviti possono essere aggiunti in fase fermentativa per modificare il bouquet del vino perché sono a base di frutti di bosco o altra frutta.
Il lievito è un essere unicellulare, un fungo. Male che vada, sarà a base di fungo, non sicuramente a base di frutti di bosco e agrumi. Quello che probabilmente voleva dire il povero presentatore, che è stato mal informato, è forse che alcuni lieviti possono favorire l’espressione di alcuni caratteri varietali di alcune varietà piuttosto che di altre, e ci mancherebbe, sono stati selezionati per questo. Possiamo discutere del fatto che sia utile o meno indirizzare un vino in una “direzione aromatica” utilizzando un lievito che produca nelle sue vie metaboliche più aromi di pompelmo piuttosto che di banana, piuttosto che lasciare che si esprima come “mamma l’ha fatto”, ma da questo a dire che il lievito è a base di frutta direi che ce ne passa. Sul lievito e sul suo ruolo ci sarebbe da parlare per dei giorni, magari anni, ma abbiamo già fatto un piccolo approfondimento qui.
Imprecisione numero tre: l’MCR o mosto concentrato rettificato e i “registri” di inizio secolo.
Vero, lo si usa. Vero, in passato e per la produzione di alcune tipologie di vino tuttora viene utilizzato. Falso: il registro delle annotazioni delle partite e delle relative gradazioni zuccherine, o meglio, il registro è vero ma molto datato (lo si vede bene) e chiunque bazzichi nel mondo del vino, quello vero, sa benissimo che i registri sono ormai telematici e che tutto può essere controllato in maniera semplice e veloce dagli organi preposti.
Ma facciamo un passetto indietro, perché si utilizza l’MCR: la concentrazione di zuccheri nell’uva è direttamente correlata alla percentuale di alcool finale che avremo nel vino una volta fermentato. Capita che, per problemi vari, un’uva debba essere vendemmiata con caratteristiche zuccherine non ideali per la produzione del vino che vogliamo ottenere. In pratica, in qualsiasi altro Paese al mondo produttore di vino per correggere questo gap zuccherino è consentito utilizzare lo zucchero di canna, di barbabietola e similari. In Italia invece è consentito solo ed esclusivamente, dietro autorizzazione ministeriale e deroga, utilizzare l’MCR per una vecchia legge creata per aiutare la produzione enologica del mezzogiorno, ormai anacronistica aggiungerei. Aggiungerei inoltre che esiste perfino un caso in cui l’aggiunta di zucchero per “finire” un vino è una cosa normale e ben accetta da tutti, e cioè nella produzione dello spumante e dello champagne. Va da sé che l’utilizzo dell’MCR o dello zucchero non è da considerarsi una pratica truffaldina, bensì una normale pratica enologica, se operata nei limiti e nelle pratiche di legge.
Imprecisione numero quattro: i tannini e i chips.
Al di là del fatto che entrambi sono legali e consentiti nell’elaborazione di alcune tipologie di vino (i chips sono consentiti in Italia solo per la produzione di vini da tavola e Igt, dietro dichiarazione e compilazione di un apposito registro), entrambi non apportano assolutamente nessun composto dannoso per la salute umana. Detto questo, è giusto e corretto considerare errata e fuorviante una comunicazione volta a far credere al consumatore un passaggio e un affinamento più o meno lungo in barrique o fusto di legno, quando invece è stato utilizzato un sistema più rapido, gestibile e a basso costo come i chips e i tannini, che hanno comunque un costo e una tecnica di utilizzo ben specifica. In ogni caso, dobbiamo anche dire che la scelta del consumatore è fondamentale: sarebbe importante non richiedere un vino rotondo, morbido, con sentori di vaniglia, tostatura, caffè e cioccolato a 1,50 euro a bottiglia, perché se si cercano e si trovano vini di questo genere sul mercato significa che c’è una richiesta e che il mercato non fa altro che soddisfarla con i mezzi e gli strumenti consentiti da quel margine di prezzo.
Piccola parentesi sul tannino: molto spesso si utilizzano tannini di varie origini e varie tostature estratti in diversi modi da buccia, vinaccioli, legno di quercia, tutti componenti già presenti in un vino affinato in legno per lungo tempo. Ovvio che, nel caso di un’aggiunta di tannini, stiamo parlando di una “scorciatoia” ma che spesso permette di essere più efficienti, sostenibili e economici, a tutto beneficio del consumatore.
Lasciamo pure la polemica riguardante le vendite di vino sfuso da Nord a Sud, con o senza “carte” come hanno riportato nell’intervista, oppure le vendite in nero per coprire delle produzioni che in realtà esistono sulla carta ma non nella materia. Tutto vero e tutto da controllare e verificare e punire in caso di frode. Ma anche in questo caso, il dipinto risulta sfocato e l’immagine presa al crepuscolo con poca luce e poca maestria.
L’industria e l’artigianato del vino sono uno dei settori trainanti della nostra bella Italia e non solo, non va demonizzato, ma penso spiegato e capito, controllato e “aperto”. Siamo convinti che anche l’avvento della descrizione degli ingredienti nel vino sia un passo avanti per sfatare molti falsi miti, ma l’informazione va sempre data in maniera corretta e imparziale, senza cercare di portare un’opinione alla ribalta.
Per finire: i registri del vino sono telematici da molti anni. Quando per aumentare lo storytelling ci mostrano libroni ingialliti con parole vergate con la stilografica ci stanno evidentemente mostrando una cosa distante dalla verità.
Si dice filtrazione e non filtratura, fungicida e non funghicida. Se le parole sono importanti, lo sono soprattutto quando a pronunciarle è un presunto “esperto di vino” e quando parliamo di aspetti tecnici.
Il vino fa bene? Forse no, ma non per le ragioni che vi hanno spiegato in tv. È più d’impatto mostrare un composto grigio che viene “aggiunto” al vino rispetto a spiegarvi formule chimiche? Certo. Per questo proviamo su queste pagine a fare cultura enologica, così che abbiate gli strumenti per capire quando non ve la stanno raccontando giusta.