Quanti sono i costi dell’agricoltura? Troppi. È per questo che in Italia ci sono più di tre milioni di terreni agricoli inattivi. Terreni improduttivi per più di tre anni, se consideriamo la definizione esatta. E il nostro Paese ha perso negli ultimi venticinque anni circa il 28 per cento delle terre coltivate. I dati parlano da soli. Siamo stati una nazione di agricoltori e ora non lo siamo quasi più. Il perché è presto detto: i costi per gestire le produzioni sono altissimi, le vendite alla Gdo non sono convenienti e le persone abbandonano i campi.
È vero, nell’era post pandemica c’è stato un momento in cui sembrava che le persone (i giovani soprattutto) avessero riacquistato, nei confronti della terra, un’attrazione ormai dimenticata: via dalla città e dagli appartamenti verso una vita più vera, più bucolica e all’aria aperta. È vero? È un mito? Forse la risposta giusta sta nel mezzo, come sempre. Qualcuno ci ha provato, qualche altro ci sta provando e c’è invece chi l’agricoltura ha deciso di razionalizzarla, senza troppe poesie o pensieri retorici. A partire da quel valore con cui ci riempiamo spesso la bocca, senza troppo significato, che è la tradizione.
«La tradizione non è necessariamente garanzia di qualità, anche se rappresenta le basi senza cui nessuna proposta legata alla terra può dirsi completa». A parlare è Pasquale Bonsignore che nel 2011, conscio della grave situazione in cui versava il panorama agricolo italiano, ha deciso di guardare alla terra come a un qualcosa a cui applicare metodi di imprenditoria contemporanea e innovativa, creando Incuso.
«Noi abbiamo il coraggio di mettere in discussione la narrazione tipica del mondo del cibo, che si nutre da anni della mitizzazione dei tempi lontani: questo è un elemento determinante per individuare nuovi confini e innescare un reale cambiamento, proprio come mi ha insegnato il design. È l’approccio che abbiamo scelto e che vogliamo portare in agricoltura, per disegnare una nuova prospettiva per noi stessi, le comunità con cui lavoriamo e i nostri territori». Sì, Pasquale Bonsignore arriva dal mondo del design, così come tanti altri sue colleghi, che hanno cambiato diametralmente vita, mettendo al servizio di settore del tutto diversi metodologie ben definite. Lui l’ha fatto con i campi.
Dall’abbandono dei campi alla produzione
Il progetto è partito in Sicilia, dalla Valle del Belìce, tra le rovine di Selinunte e distese di ulivi centenari lasciati in abbandono, a causa proprio di quell’iniqua distribuzione della filiera, causa della crisi agricola comune. La soluzione poteva essere trovata solo osservandola da un punto di vista differente. Con un metodo progettuale, per l’appunto, basato su quattro fasi: analisi, ricerca, sperimentazione e produzione.
Il primo territorio di sperimentazione è stato quello di Castelvetrano, nel trapanese: un’idea produttiva diversa e un sistema di filiera nuovo, con al centro le persone e le loro competenze. Da qui si è partiti con la creazione di uno dei prodotti cardine della Sicilia, l’olio extra vergine di oliva. Per poi spostarsi a Pantelleria con il cappero, l’uva di Zibibbo e in Campania con i pomodori.
In tutti i territori dove opera oggi Incuso il punto di partenza è sempre stato lo stesso: partire dalle comunità per cercare di capire insieme dove si rompeva l’equilibri di una giusta distribuzione nella filiera, cercando di realizzare un sistema produttivo più al passo con i tempi. «La crisi dell’industria alimentare italiana a noi contemporanea è un fenomeno complesso, che richiede di affrontare diversi problemi di fondo, dai metodi di produzione obsoleti alla mancanza di investimenti nel settore» – spiega infatti Bonsignore – «Per iniziare a cambiare le cose il primo passo è la consapevolezza, superare il racconto di un ritorno immaginifico ai campi, e ammettere che nel sistema agricolo esistono aree critiche. Riconoscendo la dura verità possiamo lavorare per rilanciare la scena».
Un sistema di retribuzione incapace di riconoscere e distribuire valore e diseguaglianze nel territorio sono le prime cause della crisi del comparto agricolo e anche il motivo di spopolamento delle zone rurali. Cause da ribaltare per riportare la situazione in equilibrio. A partire dalla giusta remunerazione ai contadini per rendere sostenibili le attività economiche agricole. Ancora oggi «esistono molti contesti in cui varietà e prodotti di alta qualità sono custoditi da contadini part-time, persone che sono sostenute economicamente da un’altra occupazione, o da pensionati. Per tutti loro il lavoro nei campi è un’attività secondaria, portata avanti piщ per responsabilità e per rispetto della tradizione che prestando attenzione all’esigenza di ricercare una sostenibilità economica. Per dare futuro all’agricoltura, questa situazione va superata creando modelli anche commerciali strutturati e in grado di garantire futuro al cibo».
Oggi Incuso può contare su una rete produttiva di valore. Le olive verdi e intense e l’olio della valle Belìce, ottenuto anticipando la raccolta, rispetto alla tradizione, e aumentandone per questo la qualità. I capperi di Pantelleria, conservati con sali diversi da quelli soliti. I pomodorini gialli alle pendici del Vesuvio, il pomodoro rosso nei territori dell’Agro Nocerino Sarnese, i pomodorini di Corbara in Costiera Amalfitana e il pomodoro giallo lungo di Capaccio nella piana del Sele in Cilento: prodotti e conserve per cui è stata studiata un’iper-selezione in campo, insieme all’attenzione massima per le temperature di sterilizzazione. I prodotti di Incuso ora hanno il giusto valore, inserito in un sistema equo e redditizio, che è quel che conta maggiormente nel settore del cibo. Sono amati anche dai grandi chef, segno che la materia prima è il vero cardine della cucina, e non solo nel fine dining.
E questo è anche il motivo per cui abbiamo scelto di inserire gli oli e le conserve di Incuso all’interno della nostra Bottega Gastronimika a La Sala del Vino di Milano. Per tutto dicembre li potrete trovare in via S. Faustino 1 oppure sull’e-commerce dedicato: un regalo da fare, o da farsi, con la consapevolezza di portare a casa il frutto di un lavoro giusto.