È notizia di questi giorni la presentazione al Senato da parte di Fratelli d’Italia di un disegno di legge avente a oggetto il presepe e le altre iniziative natalizie nelle scuole. La norma ipotizzata mira a precludere alle scuole, ovvero ai presidi, la possibilità di «impedire iniziative promosse da genitori, studenti, o dai competenti organi scolastici, volte a proseguire attività legate alle tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana, come l’allestimento del presepe, recite e altre manifestazioni ad essi collegate al fine di ricordarne il loro profondo significato di umanità e il rapporto che le lega all’identità nazionale italiana».
Immancabilmente ogni anno in prossimità delle Feste natalizie si ripropone la controversia tra favorevoli e contrari alla presenza del presepe a scuola, spesso polarizzata tra una malintesa concezione del politicamente corretto e una cieca e pericolosa deriva identitaria. In realtà, in una società liberale e laica non dovrebbero sussistere né l’obbligo né il divieto di fare il presepe a scuola o anche altrove, giacché la sua presenza, o anche la sua assenza, dovrebbero essere il frutto di un’iniziativa spontanea o comunque libera da prospettive ideologizzanti.
Nell’opporsi al presepe a scuola si tende spesso ad assimilarne la presenza nei luoghi pubblici a quella del crocifisso, invocando sul punto il principio della laicità dello Stato.
Tuttavia, per il presepe a scuola, così come per i canti natalizi nelle aule, valgono considerazioni decisamente diverse che per il crocifisso nei luoghi pubblici. Del resto, molti agnostici e atei mettono accanto o sotto l’albero un presepe, proprio per onorare una tradizione che ha sì radici religiose ma allo stesso tempo se ne distanzia, essendo diventata oramai un fatto di costume al quale ci si può affezionare a prescindere dalle proprie convinzioni religiose. Così come si può riconoscere e apprezzare la bellezza dei canti natalizi, d’autore o popolari, senza per questo sentirsi coinvolti dalla loro ispirazione religiosa.
Al di là dell’apparenza, l’analogia tra presepe e crocifisso nei luoghi pubblici è lacunosa, in quanto non va oltre la comune matrice religiosa e trascura altri dirimenti elementi di contesto. Ciò che infatti costituisce la differenza decisiva fra il crocifisso in classe e il presepe a scuola è l’imposizione autoritaria del primo in termini legali, non a caso risalente al periodo fascista (significativamente ridimensionata, però, da una recente sentenza della Corte di Cassazione), che si contrappone al carattere più spontaneo e persino giocoso del secondo.
Il crocifisso a scuola e negli altri luoghi pubblici è calato dall’alto ed è frutto dell’egemonia legalizzata di una religione attraverso un concordato il cui contenuto costituisce un vulnus alla laicità dello stato, e in questo senso, le posizioni moderate e ragionevoli espresse da esponenti di altre religioni che dichiarano di non essere intenzionati a sollevare il tema del crocifisso nei luoghi pubblici, sono in linea di principio irrilevanti. Invece, diversamente dal crocifisso incombente per obbligo dalla parete, il presepe e i canti natalizi vengono, per così dire, dal basso, si sono radicati spontaneamente, piacciono ai bambini, che a scuola come a casa fanno il presepe volentieri e spesso senza una reale consapevolezza religiosa e in ogni caso senza sciovinismi identitari, un po’ come per l’albero di Natale. Inoltre, dato non trascurabile è che la presenza del presepe nelle scuole è temporanea.
In sintesi, il presepe e i canti natalizi possono essere considerati una transitoria manifestazione di folklore mite e inclusivo, mentre il crocifisso è l’occupazione permanente e autorizzata, e persino obbligata per legge, di spazi pubblici da parte del simbolo di una religione a cui norme lesive di principi fondamentali attribuiscono uno status privilegiato.
Il punto, insomma, non è il richiamo religioso, più o meno generico, di questo o quel simbolo, bensì le ragioni concrete e specifiche della loro presenza pubblica. Del resto, anche sotto il profilo storico, la genesi del legame instauratosi tra potere politico e cristianesimo è proprio al crocifisso che rimanda simbolicamente. “In Hoc Signo Vinces” (sotto questo segno vincerai) è la frase che accanto a una croce, secondo la leggenda, compare a Costantino prima dell’epocale battaglia di Ponte Milvio. La vittoria di Costantino segna l’inizio della lunghissima fase di commistione della Chiesa con il potere, l’origine appunto della cosiddetta chiesa costantiniana. E nel corso dei secoli successivi alla svolta costantiniana, in nome e con il simbolo della croce, sono state condotte guerre sanguinose e violenze di ogni genere.
Il presepe, invece, come è noto, deve la sua origine e la sua popolarità all’intuizione di San Francesco, che, in un certo immaginario almeno, incarna una dimensione religiosa lontana dalla svolta costantiniana, dal potere temporale e dalla ricchezza materiale, rinviando altresì a una logica di predicazione opposta a quella guerresca delle crociate. Si potrebbe persino arrivare al paradosso di ritenere che il presepe per ragioni storiche e sociali sia l’antitesi del crocifisso. Ed è proprio in virtù della differenza di significato, di richiami storici e di dinamica sociale tra il crocifisso e il presepe che appare fuorviante che alcuni dei sostenitori del presepe a scuola lo difendano brandendolo a mo’ di clava identitaria contro non si sa bene quali avversari.
In tale prospettiva appare del tutto inappropriato il disegno di legge di Fratelli d’Italia. In sostanza, nella logica regressiva e grettamente identitaria di coloro che propongono tale norma, si finisce con l’assimilare il presepe e i canti natalizi, espressione popolare e di costume, al crocifisso e ai suoi plumbei presupposti e implicazioni di natura storica, politica e legale.
Ora, per quanto discutibile e persino angustamente ideologico possa apparire il divieto di manifestazioni natalizie a scuole disposto da dirigenti o altri organi scolastici, la questione dovrebbe comunque rimanere nell’ambito di dinamiche non soggette a obblighi e imposizioni di legge, ed essere rimessa di volta in volta alle dialettiche di una società pluralistica e laica, e allo stesso tempo legittimamente rivendicante il valore delle sue tradizioni. Cultura e costume, e non la legge, dovrebbero poter salvaguardare, tramandare e proporre inclusivamente le tradizioni.
Il presepe e i canti natalizi a scuola sono e devono rimanere affare della società civile e non diventare affare dello Stato.