Benvenuto Brunello è un evento che coinvolge stampa e addetti ai lavori da 32 anni, in una kermesse che permette di avere una panoramica completa e dettagliata dell’annata in uscita, in questo caso la 2019 (il disciplinare prevede infatti quattro anni di produzione prima della messa in vendita delle bottiglie), dando la possibilità di assaggiare 310 etichette di centodiciannove cantine.
Come funziona un’anteprima?
L’anteprima permette ai professionisti di settore di assaggiare una nuova annata non ancora in commercio: ci sono incontri, premiazioni, occasioni di riflessione, ma il fulcro della manifestazione è la grande degustazione che consente di valutare tutte le bottiglie e di dare un’idea molto seria e circostanziata di ciò che esprime questa nuova particolare annata.
Selezionati i professionisti che si siedono ai tavoli comuni: quest’anno a Montalcino c’erano settanta giornalisti tra italiani ed esteri provenienti da Stati Uniti, Canada, Corea del Sud, Brasile e Israele, e per l’Europa Inghilterra, Svezia, Danimarca, Norvegia e Olanda. A questi si aggiungono i circa venti operatori tra giornalisti, wine expert, buyer e wine educator stranieri individuati dalla speciale attività di incoming in collaborazione con la Vinitaly International Academy. Tutti scelgono in autonomia che cosa degustare: si arriva a fare anche ottanta, cento assaggi al giorno, per ottimizzare la partecipazione e avere un’idea completa di tutte le cantine.
È un lavoro vero e proprio, niente di quello che potete immaginare: servono concentrazione, competenza, curiosità e determinazione. Per ogni vino si hanno pochi minuti, ovviamente si sputa e non si beve, e si prendono appunti in maniera il più possibile precisa, perché pensare di ricordare tutto a memoria è davvero improbabile. È un lavoro in solitaria, anche se si è seduti a tavoli comuni: ognuno segue la sua strada, ognuno ha il suo obiettivo e solo a fine degustazione ci si confronta e ci si consiglia, eleggendo i propri preferiti o le scoperte più intriganti dell’anno.
Che cosa ci ha colpiti di più
Dopo oltre 120 degustazioni, abbiamo particolarmente amato il Brunello di Ciacci Piccolomini d’Aragona, di Armilla, di Canalicchio di sopra, di Uccelliera e di Val di Suga. Ci ha colpiti il Rosso di Montalcino di Lisini. Da mettere in cantina il Brunello di Fattoria dei Barbi, ricordando che il Brunello di Montalcino Riserva 2016 della Fattoria dei Barbi è stato al 2° posto della Top 100 2022 di Wine Spectator, la classifica dei cento migliori vini del mondo, stilata ogni anno dalla celebre testata statunitense di settore. Da conquistare per l’invecchiamento anche quello di Argiano: il suo 2018 è stato decretato miglior vino del mondo 2023 sempre da Wine Spectator, e il 2019 non è da meno. Il Brunello di Montalcino Ciliegio di La Magia rimane nel nostro cuore, anche per il 2019, mentre quello di Sesti è una grande e piacevole scoperta per questa annata.
Che cosa abbiamo capito
Quest’anno più che mai ci siamo resi conto di quanto stiano cambiando i tempi, e non solo quelli atmosferici, anche in una delle zone più storiche e tradizionali del vino italiano. Il clima cambia, questo è indubbio, ma cambiano anche lo stile e il modo di fare i vini di una volta.
Non abbiamo certezze, ma ci siamo posti molte domande. Rimanere ancorati alla credenza che sia ancora corretto mantenere un vino, che non ha più le caratteristiche di quarant’anni fa, cinque anni in cantina con almeno tre anni in legno, farlo ossidare, fargli perdere finezza, smagrirlo e pensare che questo sia eleganza dovuta all’eliminazione di tanta polpa che invece dovrebbe rimanere lì a tamponare il tannino… è la cosa giusta? Percorrere questa strada nel 2023 è la cosa giusta?
Come ha spiegato il master of wine Andrea Lonardi, che ha tenuto una degustazione fuori evento, nelle tenute Val di Suga: «È più importante proteggere il Sangiovese dall’ossidazione, altrimenti rischia di perdere frutto».
In sintesi: dovremmo imparare a trattare il Sangiovese con più tecnica anche in cantina e non pretendere di tenerlo come un rosso di una volta, in cui era necessario per ammorbidire acidità e tannini scorbutici dovuti anche a estrazione eccessiva per mancanza di tecnica in cantina. Era un’uva diversa e andava trattata in maniera diversa. Ma oggi, con questo clima e questa nuova tendenza internazionale verso vini più eleganti ed eterei, più scarichi e meno ricchi di alcol, forse va percorsa una nuova strada anche in questo luogo da sempre fisso su un unico stile ben determinato.
Riflettiamo sul fatto che magari non sia più necessario fare determinati tipi di vinificazioni e/o di affinamenti, ma cambiare strada, tentando una rinascita di una zona che rimane iconica e che può e deve rimanere un riferimento saldo per l’enologia italiana, qui e all’estero.