In una sentenza storica la Corte di Cassazione ha chiarito che l’uso del saluto romano e la chiamata del «presente» sono un reato solo se c’è un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista e nel caso «si concretizzi un pericolo reale per la Repubblica», come previsto dell’articolo 5 della legge Scelba del 1952. Quindi i due gesti tipici del ventennio mussoliniano non costituirebbero un reato nel caso di semplici commemorazioni.
Le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute sul tema analizzando il caso di otto persone che nel 2016 a Milano hanno fatto il saluto fascista per commemorare la morte di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù ucciso il 29 aprile 1975 da alcuni militanti di estrema sinistra di Avanguardia operaia, il giornalista fascista Carlo Borsani morto nella stessa data nel 1945 e il consigliere del Movimento Sociale italiano Enrico Pedenovi ucciso sempre il 29 aprile ma del 1976 dalla organizzazione terroristica di sinistra Prima Linea.
La Corte ha deciso che gli otto imputati dovranno subire un nuovo processo dopo essere stati assolti in primo grado e condannati in secondo grado. Non è stata quindi accolta la richiesta della conferma della condanna che si basava sulla violazione della Legge Mancino del 1993 che punisce le manifestazioni pubbliche di ideologie discriminatorie. Il saluto fascista potrebbe essere punito in base alla legge Mancino solo quando c’è un pericolo concreto di ordine pubblico. Una ipotesi che le Sezioni Unite non hanno escluso, ma che dovrà essere stabilità in un nuovo processo. La Corte di appello di Milano dovrà verificare anche se quelle otto persone che hanno fatto il saluto romano nel 2016 hanno poi cospirato per riorganizzare il Partito fascista mettendo in concreto pericolo la repubblica italiana.