La settimana che ha portato al no del Parlamento italiano alla ratifica del Mes è iniziata con un altro no italiano e solitario: quello di lunedì 18 dicembre al Consiglio europeo in merito al nuovo regolamento sul packaging e il suo smaltimento sostenibile su cui da oltre un anno in Europa si litiga non poco, turbando i sonni di una buona fetta dell’industria europea dell’agrifood e degli imballaggi. Quella italiana in testa.
Lunedì 18 dicembre il Consiglio europeo doveva definire la sua posizione rispetto al testo proposto un anno fa dalla Commissione europea e su cui si è espresso appena lo scorso novembre il Parlamento europeo. Il pasticcio nasce dal fatto che la Commissione, come si sa, ha proposto un testo fortemente sbilanciato verso la lotta alle confezioni monouso e verso il riuso delle stesse, architettando un sistema di ritiro e smaltimento del packaging usato basato su un sistema di aumento dei prezzi e restituzione dello stesso sovrapprezzo nel momento in cui i consumatori restituiscono il vuoto usato. Un sistema che penalizza in modo particolare l’Italia, che da oltre vent’anni ha imboccato una strategia basata sulla raccolta differenziata e sul riciclo dei materiali che ha portato ottimi risultati, tra i quali il raggiungimento in anticipo sui termini delle percentuali di smaltimento sostenibile poste dalla stessa Unione Europea al 2025. La differenza sta nel fatto che il nostro sistema di raccolta differenziata si basa su un contributo pagato dalle imprese che usano gli imballaggi, che lo versano al Conai, dopodiché il Consorzio gira queste risorse agli enti locali finanziando di fatto i centri di raccolta differenziata.
Tutto questo viene messo in discussione dal nuovo Regolamento Packaging che vuole un’architettura basata sul ritiro degli imballaggi usati, prime tra tutte bottiglie e lattine di acqua e altre bevande, incentrato sulle reti di vendita. E un sistema di “premio” ai consumatori che riportano i vuoti: di fatto la restituzione del sovrapprezzo pagato all’acquisto, un po’ come il vecchio deposito cauzionale che si usava il secolo scorso anche in Italia. È un anno e più che in Europa la polemica su questo tema è alta. Sostenuta dalla stragrande maggioranza dell’agrifood europeo ma poco a livello dei Paesi membri. C’è l’Italia a far da capofila ma con pochi alleati.
L’impegno italiano sembrava però aver segnato un discreto punto a suo favore lo scorso novembre, quando il Parlamento europeo aveva approvato una bozza di testo che ammorbidiva quello della Commissione in alcuni passaggi strategici. Specie, dal punto di vista italiano, nella possibilità per i Paesi membri di chiedere deroghe all’obbligo dell’introduzione dei sistemi di ritiro e rimborso dei vuoti nel caso in cui si sia messo in piedi un sistema alternativo, come appunto quello della raccolta differenziata, a patto di raggiungere lo stesso obiettivo del novanta per cento di riciclo dei contenitori allo scadere del 2029.
Ora questo passo avanti è stato vanificato dal Consiglio europeo del 18 dicembre scorso, dove una mossa a sorpresa della presidente di turno spagnola, Teresa Ribera, ministro dell’ecologia e vicepremier del governo di Madrid, ha proposto un testo che arretra parzialmente rispetto a quello del Parlamento europeo, pur senza ritornare ai limiti proposti dalla Commissione. Una mossa a sorpresa perché fino all’ultimo prevaleva la percezione che il Consiglio si sarebbe allineato al testo uscito dall’aula di Strasburgo. Ma così non è stato, al punto che l’Italia, da sola, ha votato contro la risoluzione.
Adesso tutta la partita si sposta al trilogo, ossia il tavolo a tre tra Commissione, Europarlamento e Consiglio, che inizierà a gennaio. Il testo che uscirà da qui sarà quello definitivo. Fare previsioni è al momento azzardato. L’unica certezza è che a guidare l’Unione, e quindi il Consiglio, con l’avvento del nuovo anno, non sarà più la Spagna ma il Belgio. È comunque certo che il Regolamento Packaging troverà la sua forma finale ed entrerà in vigore prima delle elezioni europee di giugno perché il tema della riduzione degli imballaggi non può non essere portato a casa dall’attuale maggioranza che molto si è spesa sui temi dell’ambiente.
Il problema è se cercherà di farlo restando sulle posizioni più estreme, alla Frans Timmermans, il Commissario all’ambiente, olandese, ecologista che si è dimesso per partecipare alle elezioni politiche nel suo Paese a fine novembre scorso, o se aderirà alla posizione più morbida espressa dai parlamentari di Strasburgo, che hanno evidentemente un contatto maggiore con le istanze che vengono dalla società e dall’economia. Non è un caso infatti che è proprio dal mondo industriale europeo che viene la maggiore opposizione al Regolamento Packaging. Non sugli obiettivi di fondo, l’inversione della tendenza che vede una continua crescita, anno dopo anno, dei materiali usati per vendere ogni tipo di prodotti, con l’intento di tagliare gli imballaggi, prendendo come base i quantitativi del 2018, del cinque per cento nel 2030, del dieci per cento nel 2035 e del quindici per cento nel 2040. Il centro della questione è il meccanismo ideato dalla Commissione e che, come spesso accade per le decisioni europee, tende a stabilire non solo le mete ma anche le strade e i metodi per arrivarci. Inserendo delle rigidità che stridono con le differenze che i vari Paesi membri hanno sviluppato.
Sotto accusa sono quindi alcuni passaggi. Uno è quello già citato del sistema per la restituzione agli utenti che conferiscono i vuoti della quota di deposito cauzionale. Il sistema si basa sulla capillarità di una rete di apposite macchine raccoglitrici da installare nei punti vendita dove gli utenti dovranno inserire i vuoti ricevendo il denaro corrispondente. Un sistema che viene definito «finanziario» perché prevede esclusivamente la restituzione del valore monetario, escludendo altre forme come sconti o punti da cumulare.
Un altro che sta creando forti polemiche è il principio della Extended Producer Responsibility, in sigla Epr. È il sistema che vede le imprese, specie quelle di vendita e distribuzione, responsabili del ritiro dei rifiuti da imballaggi. Un sistema molto rigido, tanto che prevede che per vendere in uno Stato membro dell’Unione le imprese interessate debbano avere in quello stesso Paese una rappresentanza legale proprio ai fini della Epr.
Un punto cardine contro cui si è battuta la Germania, che però è riuscita a far inserire nel testo votato dal Consiglio europeo un passaggio che inserisce la possibilità delle imprese di consorziarsi anche per questo tema. Ma questo intervento di Berlino non è bastato se, paradossalmente, proprio dalla Germania è venuto uno degli attacchi più duri al sistema Epr: Ecosistant, una società di consulenza tedesca impegnata nel seguire le pmi che vendono online ha parlato, subito dopo l’esito del voto del Consiglio Ue, di colpo mortale all’e-commerce intraeuropeo perché per migliaia di piccole imprese europee vendere in un altro mercato europeo comporterà un aggravio di costi insostenibile.
In Spagna non va meglio: appena pochi giorni prima del voto del Consiglio guidato dalla vicepremier spagnola, Emilio Oviedo, il responsabile per la Spagna di Ace, l’associazione europea delle industrie del packaging alimentare, aveva espresso pubblicamente il suo auspicio che il Consiglio si allineasse sulla posizione più «moderata» del Parlamento europeo.
E in Italia? Reazioni ufficiali non ce ne sono state ma le associazioni industriali sono al lavoro. Per ora a uscire allo scoperto è stato il presidente di Unionplast, l’associazione confindustriale dei produttori di plastica, Marco Bergaglio, che accusa il testo varato dal Consiglio dell’Unione europea di essere «un ulteriore inasprimento, che non tiene minimamente conto delle soggettività nazionali ed in particolare della capacità italiana di riciclare gli imballaggi e utilizzare le derivanti materie prime seconde. E dove è assolutamente evidente la volontà di mettere fuori gioco la plastica a favore di altri materiali, principalmente carta e cartone, oggetto di varie esenzioni nel testo normativo».
Inoltre, sottolinea ancora Bergaglio, «condividiamo l’impegno verso la riduzione dei rifiuti di imballaggio in generale, e continuiamo ad investire per la miglior riciclabilità degli imballaggi e il maggiore uso di materiali riciclati ma nel testo varato dall’Europarlamento ci sono troppi passaggi non chiari, spesso apparentemente di dettaglio ma di fatto discriminatori. Come il mancato collegamento tra obiettivi di contenuto di riciclato negli imballaggi plastici alla effettiva possibilità tecnologica nonchè alla disponibilità concreta di materia prima secondaria. Per non parlare del passaggio che autorizza i singoli Stati ad introdurre norme ancora più stringenti e che, se adottato, finirebbe per andare contro il principio stesso del mercato unico europeo».
Adesso, mentre è il tema del Mes a monopolizzare le polemiche, si attenderà la partenza del semestre belga di presidenza dell’Unione per cercare di capire se l’esito del trilogo riuscirà a riportare il Regolamento sulle posizioni dell’Europarlamento, cosa che all’Italia andrebbe abbastanza bene perché lascia margini di manovra sufficienti a centrare gli obiettivi senza dover buttare a mare venti anni di investimenti nella raccolta differenziata. Insomma, l’Unione europea si è di nuovo avviluppata nel corto circuito tra obiettivi condivisibili e auspicabili e normative troppo rigide sulle strade da percorrere per raggiungerli. E fatica a ricomprendere nei suoi criteri operativi quel principio della neutralità tecnologica e della flessibilità dei percorsi pur nel rigore degli obiettivi finali che ha già sperimentato in altri campi, dalla casa green al tema dei biocarburanti (dove manca però ancora la certezza definitiva) e che alla fine, è lo stesso che ha permesso alla Cop28 appena chiusa a Dubai di conseguire un risultato alla fine positivo.