Per comprendere a pieno l’impatto della guerra in Ucraina sull’Unione Europea è necessario compiere un passo indietro e prendere in considerazione gli sviluppi verificatisi negli ultimi anni a proposito delle scelte dell’Unione Europea allo scopo di affermare il proprio ruolo come importante soggetto nell’ambito della politica estera e di difesa. A dispetto delle numerose dichiarazioni compiute e dei vari progetti elaborati o posti in essere sin dal trattato di Maastricht, è difficile sostenere che l’Unione Europea sia stata in grado di attuare una vera politica estera che non si esaurisse nell’utilizzazione degli strumenti di carattere economico, i quali, se efficaci in alcuni casi, difficilmente sono risultati risolutivi in molti altri frangenti.
Inoltre se l’Ue ha cercato di coltivare buoni rapporti su scala globale con tutti i più importanti attori internazionali e le varie parti del mondo, le relazioni più significative, tra l’altro non sempre concordi dal punto di vista commerciale, sono rimaste quelle con gli Stati Uniti, nonché in misura minore con gli altri stati del mondo occidentale, per giunta nel contesto di organismi o di fori internazionali, quali l’ONU, il G7 e il G20 in cui, oltre all’Ue, sono presenti i maggiori stati europei in quanto soggetti indipendenti. Se certo non mancano rapporti rilevanti, ancora una volta dal punto di vista economico, con attori ormai fondamentali sullo scenario internazionale come i Brics, alcuni paesi appartenenti a questo gruppo, ad esempio la Repubblica Popolare Cinese, tendono a preferire nell’ambito politico e spesso in quello economico i contatti sul piano bilaterale con i singoli stati membri piuttosto che con l’Ue.
Va infine notato come anche in un continente come l’Africa, in cui la Comunità, poi Unione Europea, aveva esercitato una significativa influenza, essa da qualche decennio ha dovuto subire la crescente concorrenza a opera della Cina, dell’India e in alcuni casi recenti della Russia. Persino nel contesto mediterraneo e medio-orientale, come ricordato in precedenza, i progetti dell’Unione Europea hanno dato scarsi risultati, non riuscendo a favorire la stabilizzazione e la crescita di questi paesi, anzi lasciando in vari casi, quali la Siria e la Libia, spazio alle iniziative, sovente spregiudicate, di altri attori: dalla Turchia alla Russia, dall’Arabia Saudita all’Iran.
In un contesto internazionale ormai tendenzialmente multipolare, l’area in cui l’Unione Europea era in grado di esercitare una qualche influenza non poteva dunque essere che quella geograficamente più vicina e non ancora facente parte dell’Unione Europea, la «periferia» del vecchio continente, in altri termini i cosiddetti Balcani occidentali, la Turchia, il Caucaso, la Bielorussia, l’Ucraina; in molti di questi casi ciò coinvolgeva le relazioni con la federazione russa. Non va inoltre dimenticato come l’atteggiamento dell’Ue si intrecciasse con le politiche estere dei suoi maggiori stati membri, dalla Germania alla Francia, alla Gran Bretagna, almeno fino alla Brexit, e in misura minore all’Italia.
Quanto alle relazioni con la Turchia, si è già ricordato come, a dispetto della sua condizione di stato candidato alla «full membership», l’arrivo al potere di Erdogan, le sue politiche miranti a sottolineare il carattere religioso del paese, le sue tendenze autoritarie finissero con il congelare l’ipotesi della presenza di Ankara nell’Ue. Da parte del leader turco veniva d’altro canto meno l’interesse a che la Turchia facesse parte dell’Unione Europea, mentre la sua politica estera si indirizzava verso una sorta di obiettivo fondato su un ruolo «neo-ottomano», come dimostrato da una serie di vicende: dall’intervento in Siria, all’influenza in Libia, alla penetrazione in alcune parti dell’Africa, alla presenza in Bosnia e in Kosovo. I rapporti con l’Ue si limitavano dunque agli aspetti economici e alla complicata e spesso contraddittoria gestione del fenomeno migratorio.
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Il conflitto in Ucraina ha riproposto l’annosa questione del rapporto fra l’Europa e la propria difesa. In effetti nel corso degli ultimi due decenni nell’ambito dell’Ue il problema è stato posto più volte, dando origine a studi, iniziative, nonché alla creazione di organismi e a una serie di sigle in cui è spesso difficile orientarsi. In effetti nel corso dell’ultimo decennio si è manifestato uno sforzo in tal senso, che era stato sostenuto in particolare dall’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini. Ciò aveva condotto anche all’attuazione di missioni civili, militari e miste in vari paesi: dalla Bosnia alla Somalia, a vari paesi dell’Africa, ma va notato come ciò implicasse generalmente un impegno limitato, spesso a contingenti di poche centinaia di individui.
Lo stesso fondo per la pace, che all’inizio avrebbe dovuto contare su circa dieci miliardi di euro, era stato ridotto a seguito delle esigenze derivanti dalla pandemia, ma ha subito un rafforzamento a causa del conflitto in Ucraina, sebbene tali fondi siano stati soprattutto destinati a sostenere le forze ucraine. Nel complesso si ha comunque l’impressione che la politica di difesa dell’Unione Europea resti in larga misura sulla carta e che essa abbia continuato a essere in prevalenza legata alle scelte delle singole nazioni e, come almeno in apparenza dimostrato dal conflitto russoucraino, al ruolo dell’alleanza atlantica. La questione resta dunque aperta per quanto è possibile che nel lungo periodo si manifesti all’interno dell’UE una riflessione più impegnativa e concreta su questo tema.