Salute e alimentazione sono legate da un filo strettissimo. E, benché il ministro dell’Agricoltura abbia sostenuto che «chi ha poche risorse economiche mangia meglio rispetto a chi è benestante», i dati delle ricerche sulle malattie derivanti da una cattiva alimentazione dicono il contrario. Queste patologie dipendono infatti in larga misura dalla condizione sociale: per combatterle (e prevenirle) è necessario mangiare sano, ma non tutti possono permettersi di farlo. Inoltre, una persona su cinque scopre di avere una patologia di questo tipo solo in seguito a episodi clinici gravi come infarti e ictus.
«La patologia che forse non sapevate di avere», come la definisce Robert H. Shmerling, senior faculty editor di Harvard Health Publishing, è infatti l’epidemia silenziosa più preoccupante di questo secolo. In Italia il ventotto per cento degli uomini e il ventidue per cento delle donne soffre di sindrome metabolica, una condizione clinica che è causata da alimentazione irregolare e da stili di vita sedentari e incrementa il rischio di insulino-resistenza, aterosclerosi e gravi problemi cardiovascolari.
Lo stesso discorso vale per il diabete mellito, che, come avverte l’Organizzazione mondiale della sanità, è destinato a raddoppiare entro il 2030: attualmente, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, ne soffrono circa quattrocentoventidue milioni di persone nel mondo, con un milione e mezzo di decessi annui. L’Oms afferma inoltre che i numeri dei diabetici nel mondo sono quadruplicati dagli anni Ottanta a oggi e che l’ottanta per cento di chi ne soffre vive in aree a basso e medio reddito. In Italia ne sono affette 3,9 milioni di persone, con un tasso di crescita del quattordici per cento negli ultimi tre anni, come riportato dall’Italian Diabetes Barometer Report 2023 di IBDO Foundation, mentre l’Istat dichiara che la presenza di diabetici è maggiore nelle regioni centro-meridionali (6,9 per cento) rispetto al Nord (4,7 per cento), con un’incidenza record dell’8,5 per cento in Calabria.
Tra questi dati poco confortanti c’è però un barlume di speranza. Il ministero della Salute afferma che il più diffuso (con il novanta per cento dei casi totali) è il diabete di tipo 2 che, così come la sindrome metabolica, in molti casi può essere prevenuto: modificando il proprio stile di vita e le abitudini alimentari si potrebbero infatti evitare fino all’ottanta per cento dei casi.
Lo studio “Diabetes Research and Clinical Practice” pubblicato su Science Direct denuncia la necessità immediata di interventi pubblici. D’altronde, l’intero sistema sanitario rischia di andare in tilt nei prossimi anni a causa delle attività di monitoraggio e trattamento di diabete e sindrome metabolica, che oggi pesano sul Servizio sanitario nazionale italiano per l’otto per cento della spesa totale. A essere sotto accusa è lo stile di vita moderno, che riduce l’attività fisica e porta a consumare cibi altamente processati.
Gli strumenti per fermare questa epidemia silenziosa sono la prevenzione e l’educazione: «Mangiare bene è sinonimo di prevenzione. L’obiettivo primario dell’alimentazione è tenere in forma il nostro organismo, permettendogli di invecchiare in modo perfetto», racconta Heinz Beck, chef de La Pergola di Roma, ristorante tre stelle Michelin. «Più ci si prende cura del proprio corpo negli anni, meglio riusciremo ad affrontare la terza età. Un’alimentazione equilibrata prevede di diminuire le proteine di animali terrestri in favore del pesce e di comprare frutta e verdura di stagione». Fin qui niente di nuovo. Ma, nella realtà, solo una piccola percentuale di persone applicano questi accorgimenti.
A tal proposito, l’Oms invoca da anni l’intervento di governi e istituzioni per sviluppare programmi e azioni concrete che motivino la popolazione a mantenersi in forma e a mangiare meglio. L’Italia è tra i pionieri di questa lotta, con l’approvazione della legge 115 del 16 marzo 1987 dedicata alla prevenzione e alla cura del diabete, mentre nel 2009 è stato attivato il Food Programme (Fighting Obesity through Offer and Demand) per divulgare decaloghi di buone abitudini per i ristoratori, con consigli nutrizionali per servire cibo buono. Anche i cuochi, infatti, stanno scendendo in campo per la causa: Heinz Beck ha incontrato a New York un gruppo di ambasciatori delle Nazioni Unite per trovare soluzioni immediate contro l’aumento delle patologie metaboliche.
Beck partecipa da anni a ricerche sul ruolo dell’alimentazione nella salute, insieme ad alcune università e a esperti come il dottor David Della Morte Canosci. Con l’apertura di Palazzo Fiuggi, wellness medical spa, lo chef è stato chiamato a dirigere il comparto ristorativo, sviluppando programmi alimentari specifici per coadiuvare le terapie offerte in struttura, integrando sostanze nutritive che stimolano il ringiovanimento cellulare e rafforzando il sistema immunitario. «Ho creato le prime sei food line per l’apertura, con più di novecento ricette che seguono protocolli medici internazionali. Negli ultimi due anni il numero è aumentato a quattordici, con un lavoro non indifferente sulla ricettazione: ci sono food line per diminuire il peso, fare detox o potenziare il sistema immunitario», racconta lo chef. «I risultati sono tangibili, perché vengono misurati sulla risposta degli ospiti».
Per mettere a regime il sistema, Beck ha sviluppato una app con l’Università di Venezia che analizza ogni piatto, indicando quantità di ingredienti, nutrienti, allergeni, calorie e carboidrati (con una distinzione tra quelli che si metabolizzano più o meno velocemente), consentendo al personale di cucina di comporre in modo più rapido i menu salutari.
Ma chi non ha le risorse per potersi ritirare in un tempio del benessere come Palazzo Fiuggi? In che modo si può ricevere un’educazione alimentare a prova di sindrome metabolica? Sicuramente attraverso la formazione. «In questi anni ho attivato diversi progetti per le scuole e i bambini. A partire dall’adozione di porzioni di terreno dove far crescere un orto per insegnare ai piccoli a nutrirsi in modo corretto, con materie prime di qualità», ricorda Beck. «E con un’altra esperienza ho portato bambini dell’età di undici-tredici anni e provenienti da scuole in aree disagiate a La Pergola, per cucinare insieme e consumare il pasto attorno a una tavola rotonda, parlando di educazione alimentare».
Le condizioni in cui le persone nascono, crescono e invecchiano influiscono direttamente sulla loro salute e l’ambiente di lavoro non è da meno. Lo sa bene Giuseppe Iannotti, chef e imprenditore a capo del polo ristorativo delle Gallerie d’Italia a Napoli e patron di Krèsios a Telese Terme (due stelle Michelin). Il suo nuovo progetto è legato al concetto di welfare aziendale e vuole offrire strumenti concreti per promuovere una dieta sana in ufficio. «Insieme a nutrizionisti e professionisti del settore, stiamo sviluppando una app che consentirà ai dipendenti delle aziende di mangiare meglio al lavoro.
Con una semplice interfaccia sarà possibile progettare e ordinare il pranzo, scegliendo ingredienti divisi in macro-categorie (proteine, carboidrati eccetera) e le loro tecniche di cottura», svela Iannotti. «La app fornirà il conteggio delle calorie e suggerirà di aggiungere o combinare ingredienti per avere benefici in termini di assimilazione dei nutrienti». L’obiettivo è offrire una dieta capace di impattare sulle performance di lavoro. «Un pasto quotidiano equilibrato permetterà di essere produttivi, scegliendo cosa mangiare in base alle attività da svolgere nel dopo pasto», continua lo chef.
Più che una medicina, dunque, il cibo è prevenzione e viaggia a braccetto con il benessere e la salute. In più, rappresenta un momento conviviale e di comunità, fondamentale per vivere meglio e più a lungo. Tutti punti citati nella miniserie Zone Blu, disponibile in streaming su Netflix, in cui il giornalista Dan Buettner, che lavora per il New York Times ed è corrispondente per il National Geographic, visita in giro per il mondo le comunità di ultracentenari dette “Blue Zones” (facendo un passaggio anche nella Barbagia sarda). Lì l’aterosclerosi e i disturbi da sindrome metabolica non sono un problema. E c’è quindi molto da imparare.