C’è uno studio che dice che esistono più di 300 tipologie di lavoro flessibile. L’elenco delle possibili combinazioni su come, quando e dove lavorare è esploso da quando molti di noi sono stati costretti a «fare smart working» da casa durante la pandemia. Ora si può fare una settimana o una giornata corta, iniziare da casa e poi spostarsi in ufficio (o il contrario), si possono contrattare giornate dentro e altre fuori dalle mura aziendali. Ed esistono anche forme di flessibilità concordate non sul tempo ma sul luogo di lavoro, il cosiddetto flexplace.
Insomma, la scienza del lavoro flessibile ha fatto grandi passi avanti dai tempi del telelavoro. Eppure, una volta finito l’obbligo di stare a casa causa Covid, siamo tornati ai vecchi cari stereotipi su come donne e uomini dovrebbero comportarsi.
The Conversation spiega che socialmente ci si aspetta oggi che le donne utilizzino di più soluzioni flessibili di lavoro per conciliare meglio gli impegni familiari e domestici. Ma se la richiesta di flessibilità arriva da parte degli uomini, viene spesso interpretata dai capi come una mancanza di impegno nel lavoro.
È il cosiddetto stigma della flessibilità, espressione coniata da Joan C. Williams, direttrice del Center for Work-Life Law dell’Università della California. Uno stigma che ha conseguenze diverse su uomini e donne.
What??? Per le donne, gli studi dimostrano che la richiesta di flessibilità in fase di colloquio spesso porta a essere scartate perché viene correlata alla maternità e a un pregiudizio di minore impegno. Ma ancora più sorprendente è che anche gli uomini che chiedono la flessibilità possono essere penalizzati, perché visti come più femminili, deviando quindi dal loro ruolo tradizionale di capifamiglia pienamente impegnati fuori di casa.
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Risultato Gli uomini che prendono un congedo dopo la nascita di un figlio hanno maggiori probabilità di essere penalizzati e meno probabilità di essere promossi o ricevere aumenti. Le donne che lavorano con orari ridotti dopo essere diventate madri possono invece decidere di lasciare il lavoro perché vengono spesso affidati loro compiti poco significativi. Con una differenza notevole: quelle con stipendi più alti sono più incentivate dalle aziende a restare a casa, quelle che guadagnano di meno hanno maggiori probabilità di sentirsi dire che non avrebbero dovuto avere figli.
«Questi studi mostrano che valori culturali profondamente radicati, che intrecciano devozione al lavoro e identità di genere, guidano lo stigma della flessibilità», ha detto Williams.
Il che discrimina sia le donne sia gli uomini, soprattutto ora che nelle nuove generazioni la richiesta di flessibilità arriva da parte di uomini e donne e i tradizionali ruoli di madri e padri tendono a essere superati.
La lotta dei padri «Tendiamo a parlare di cosa succede alle donne, ma non parliamo di cosa succede agli uomini», ha fatto notare Kenneth Matos, psicologo organizzativo e direttore del Families and Work Institute. Se le pressioni e le aspettative sulle donne non sono cambiate, lo stesso è successo per gli uomini, che ancora vengono visti negativamente se chiedono il part-time o qualche giorno di smart working per condividere i carichi familiari.
«E se non cambia nulla per gli uomini, non cambia nulla nemmeno per le donne», dice la professoressa Williams.
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Il rompicapo dei dati
L’Istat ha pubblicato i dati sul mercato del lavoro a novembre 2023, registrando oltre trentamila posti in più, con un nuovo record di occupati. Ma allora perché il Pil rallenta e i salari non crescono, nonostante l’inflazione e la carenza di manodopera?
La prima ipotesi è che in Italia cresca soprattutto il lavoro povero, anche se i dati dicono però che ad aumentare di più sono gli occupati a tempo indeterminato e a tempo pieno.
Allora? La seconda spiegazione allora potrebbe essere che le imprese stanno trattenendo forza lavoro per evitare di dover affrontare la carenza di manodopera, magari stabilizzando personale a tempo determinato.
Diversi economisti sostengono poi che il dato sul Pil sia sottostimato, in quanto non si tiene in considerazione il Gross Domestic Income (il reddito interno lordo) italiano, che è l’altra modalità di misurare la ricchezza guardando al reddito. Questo indicatore è più alto e probabilmente rifletterebbe meglio l’andamento dell’economia.
Inoltre, la scarsità dell’offerta di lavoro, legata anche al calo demografico, si fa sentire: se c’è meno forza lavoro, pure la produzione è scarsa.
Senza dimenticare che anche i dati sugli occupati potrebbero essere sottostimati. Il Covid ha scombinato tutti i parametri standard degli uffici statistici. Essendo i dati Istat corretti per la stagionalità, ogni mese assistiamo a numerose revisioni al rialzo o al ribasso, in alcuni casi anche sostanziali. Per cui è possibile che i dati effettivi siano un po’ migliori di quelli che vediamo.
In ogni caso, al momento non sembra plausibile – dicono gli esperti – la tesi secondo cui la crescita dell’occupazione sia dovuta al ridimensionamento del reddito di cittadinanza. In realtà, il calo dei disoccupati e l’aumento degli inattivi di novembre lascerebbero pensare che gli ex percettori, generalmente profili molto lontani dal mercato, in realtà un lavoro non l’hanno trovato.
Cose di lavoro
Faro su Milano È stato presentato il rapporto dell’Osservatorio Mercato del lavoro di Milano con i dati degli ultimi 18 mesi. I contratti collettivi sottoscritti da sindacati «non confederali» sono cresciuti dal 2019, rappresentando oggi il 4,2 per cento degli avviamenti nell’area metropolitana, diffusi soprattutto tra lavoratori non italiani assunti da cooperative nei servizi alle imprese, commercio e logistica.
Ferragniland L’Autorità garante delle comunicazioni ha approvato le nuove linee guida per regolare il lavoro degli influencer. Sarà chiesto di rispettare regole sulla trasparenza della pubblicità, maggiori obblighi sulla tutela dei minori e trasparenza societaria. Previste anche nuove regole sulla rimozione e l’adeguamento dei contenuti.
Licenziamenti Arrivano cattivi segnali dall’inizio del 2024 per i grandi player tech. Amazon e Google hanno annunciato una nuova ondata di licenziamenti, in continuità con il 2023.
Forecast Secondo il Fondo monetario internazionale, l’intelligenza artificiale avrà un impatto sul 40 per cento dei posti di lavoro, una percentuale che potrebbe salire al 60 nelle economie avanzate. Più o meno la metà delle professioni potrebbe essere avvantaggiata in termini di produttività. L’altra metà però potrebbe invece vedere l’Ai eseguire compiti oggi svolti dall’uomo, portando a una riduzione delle assunzioni.
Cose della settimana
A Davos si apre la 54esima edizione del World Economic Forum, che durerà fino a venerdì 19 gennaio. Saranno presenti più di sessanta capi di Stato e oltre 2.800 personalità di spicco tra economisti, banchieri e politici. Il tema di questo Forum è Rebuilding trust, ricostruire la fiducia, in un clima di grande incertezza legato soprattutto all’esito delle elezioni americane.
A Bruxelles oggi si riunisce il primo Eurogruppo dell’anno, che si occuperà anche della riforma del Mes, mentre domani 16 gennaio è in calendario la riunione dell’Ecofin. Giovedì 18 sono attesi i verbali della riunione di politica monetaria di dicembre della Bce.
Il Tar della Lombardia ha respinto il ricorso di Acciaierie d’Italia che chiedeva di prolungare la sospensione della decisione di Snam Rete di interrompere la fornitura di gas all’ex Ilva, a causa del mancato pagamento delle bollette. ArcelorMittal, intanto, sarebbe pronta a lasciare l’Italia vendendo (anche a sconto) il 40 per cento della società, che quindi dovrebbe essere comprato da Invitalia. Entro mercoledì 17 gennaio è attesa la conclusione delle trattative. Il 18 gennaio è previsto un incontro con i sindacati.
L’ANGOLO DEL GIUSLAVORISTA
Stipendio variabile: che succede se mancano gli obiettivi? Quando i target sono comunicati ai dipendenti, non ci sono particolari problemi: una volta raggiunti, i lavoratori avranno diritto a ricevere il bonus. I problemi sorgono quando il capo non comunica i risultati da raggiungere in un determinato anno, spiega Labour Weekly.
LA STORIA
Veganuary chi? Il libro “La rivoluzione dell’hamburger. Dalla carne al vegetale, il caso Kioene” (Post Editori), del giornalista Marco Panara, racconta la storia imprenditoriale dei fratelli Tonazzo, industriali padovani della carne da generazioni e pionieri delle produzioni veg dal 1988, quando il mercato in Italia era inesistente. Oggi Kioene detiene il 40 per cento delle quote di mercato dei burger a base di proteine vegetali.
Per oggi è tutto.
Buona settimana,
Lidia Baratta
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