All’armi siam razzistiLa politica della destra non è “meno immigrati”, ma “abbasso gli immigrati”

Gli sbarchi non sono mai stati così tanti, ma l’esecutivo non paga in termini di consenso e reputazione perché i suoi elettori sono soddisfatti: non sul fronte del contenimento degli arrivi, ma della legittimazione del pregiudizio anti-migratorio, che spesso è un pregiudizio di natura etnica

Lapresse

Nel 2023 sono sbarcati sulle coste italiane quasi centocinquantottomila migranti, il cinquanta per cento in più dell’anno precedente, più del doppio rispetto al 2021. Era dal triennio terribile 2014-2016 che gli sbarchi non erano così numerosi, allora come ora determinati da conflitti, guerre, carestie, crisi umanitarie e dalla disgregazione politica di vaste aree del mondo asiatico e africano.

Gli anni, per così dire, migliori sono stati quelli immediatamente successivi alla sottoscrizione del Memorandum di intesa tra l’Italia e il Governo libico, firmato nel 2017 dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (auspice il ministro degli Interni Marco Minniti) e da Fayez Mustafa Serraj e mai recepito dal Parlamento italiano, che appaltava il lavoro sporco dell’immigrazione zero alle mafie politico-militari della Tripolitania.

Questo accordo è rimasto in piedi fino a oggi, rinnovato sia da Conte nel 2020 che da Meloni nel 2023, ma ha smesso di funzionare sia per il collasso politico-istituzionale di quel che rimane della Libia non nelle mani di Haftar, sia per gli inevitabili incerti contrattuali delle protezioni mafiose e dei giochi al rialzo sul pizzo richiesto.

Qualcosa di analogo Meloni ha provato a fare con la Tunisia di Kais Saied, ma in questo caso il disaccordo sul conquibus è esploso immediatamente. E stendiamo un velo pietoso sul divertissement estivo della delocalizzazione dei centri di rimpatrio italiani in Albania, annunciato in pompa magna e sospeso dalla Corte Costituzionale di Tirana.

Rimane il fatto che la promessa dei «porti chiusi», dei «blocchi navali» e della fine dell’isolamento italiano e della «pacchia europea» sul dossier migratorio non solo non è stata adempiuta, ma ha rappresentato, nei numeri e nei fatti, il fallimento più clamoroso del governo sovranista, che della difesa del suolo e del ceppo italico dall’invasione e sostituzione etnica aveva fatto il jolly di una campagna elettorale piglia-tutto e che ora è costretto a giustificarsi con i ridicoli controfattuali di Meloni, del tipo: «Se non ci fossimo stati noi, gli invasori sarebbero stati di più: comunque non siamo soddisfatti».

Anche il nuovo accordo di Consiglio e Parlamento europeo in materia di immigrazione e asilo, salutato dal Governo come un grande «successo italiano», grazie all’interdizione degli stati membri guidati dai partiti fratelli sovranisti, a partire dall’Ungheria, non comporta alcuna modifica del Regolamento di Dublino rispetto alle responsabilità dei Paesi di primo approdo e non introduce affatto un principio di ricollocazione obbligatoria, stabilendo in alternativa un criterio molto contestato (e vedremo se e come applicato) di solidarietà finanziaria con i Paesi investiti dai flussi di ingresso più cospicui.

Perché allora l’esecutivo non paga in termini di consenso e reputazione un fallimento così totale e clamoroso? È possibile che gli elettori sovranisti continuino a nutrire la fiducia che prima o poi, continuando su questa strada, si inizieranno a vedere i primi risultati positivi? Ne dubito.

È assai più probabile che di fronte alla promessa della destra italiana i promissari, cioè i suoi elettori, si considerino già soddisfatti dei risultati ottenuti non sul fronte del contenimento degli sbarchi, ma della legittimazione del pregiudizio anti-migratorio, che bordeggia e spesso incarna direttamente il pregiudizio etnico-razziale, divenuto infatti, nel frattempo, da cattivo pensiero inconfessabile, un corollario ammissibile, quando non rivendicato dell’identità di «questa nazione», come Meloni chiama l’Italia.

È insomma probabile che la parte rilevante della promessa non riguardasse il risultato: “Meno immigrati”, ma la premessa: “Abbasso gli immigrati”, cioè il surrogato tossico dell’amor di patria ai tempi della peste nazionalista.

D’altra parte l’Italia non è affatto minacciata dal numero degli immigrati che è stabile da un decennio sia tra i regolari – intorno ai cinque milioni – sia tra gli irregolari – intorno al mezzo milione – non per l’effetto delle politiche di contenimento, ma per la minore attrattività dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei, che produce ovviamente effetti avversi, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, pure sul fronte migratorio.

Continuando di questo passo non solo l’Italia morirà socialmente di vecchiaia, continuando a sognare l’immigrazione zero, ma morirà culturalmente di razzismo, continuando a biascicare i paternostri finto-patriottici dell’uomo bianco.

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