Il Corriere della Sera, il giornale della borghesia italiana, com’è tradizionalmente definito, ha cominciato a dare segni di insofferenza verso il governo Meloni. E questa è una notizia. Il ripetersi di scelte discutibili (Mes) o sconcertanti (il deputato Emanuele Pozzolo con la pistola) stanno suscitando più di un dubbio sulla reale capacità del partito della presidente del Consiglio, e dunque inevitabilmente di lei stessa, di governare con saggezza e tranquillità un Paese che è tuttora nelle peste malgrado la propaganda della Rai si sforzi di dire il contrario.
Da questo punto di vista l’articolo di ieri di Massimo Franco è parso contenere qualche nota di inusuale allarme. «In qualche settimana l’immagine trasmessa dal governo di destra è passata da un profilo di prudenza e responsabilità ad un ibrido preoccupante». Ancora più chiaramente: «È come se la maggioranza non riuscisse a esprimere l’interesse nazionale nel senso più unitario e politico del termine»: e questo è un rilievo gravissimo per qualunque governante, ma ancor di più per chi si autodefinisce come “patriota” al servizio della “Nazione”. La disamina di Franco è, nella prosa garbata, molto severa sino all’accusa di «improvvisazione» che per chi prima del voto si diceva “pronto” deve fare particolarmente male.
D’altronde, sulle stesse pagine, la cronista forse più informata dei fatti della destra, Paola Di Caro, descriveva una Giorgia Meloni «furiosa» per lo sparo di Capodanno ma non solo: «Così sembriamo inaffidabili». Sembriamo? Tra l’apparire e l’essere il confine è labile, ed è per questo che è lecito registrare già un logorio del governo, di Fratelli d’Italia e dunque di colei che guida il primo e i secondi, cioè Giorgia Meloni.
L’idea che lei sia una statista circondata da pasticcioni non regge, innanzitutto per l’ovvia constatazione che il ministro che ferma il treno perché è in ritardo o il deputato che si porta la pistola al veglione ce li ha portati lei al governo e in Parlamento. Ma quello che emerge sempre sul Corriere della Sera è proprio un dubbio sulla tenuta e sulla capacità di direzione politica della stessa Meloni.
Chiarissimo, e durissimo, da questo punto di vista era stato il 29 dicembre Ernesto Galli della Loggia: «Il problema di Giorgia Meloni non è il Mes o questa o quella gaffe di qualche membro del suo entourage e neppure i periodici dissidi all’interno della sua maggioranza. Lo dico senza alcun compiacimento ma il problema di Giorgia Meloni è lei stessa, il suo modo di interpretare il proprio ruolo, il contenuto che lei stessa è istintivamente portata ad attribuirgli». Galli spiegava che «non si tratta solo di una questione di stile (citava a questo riguardo «l’incontenibile aggressività», ndr) ma la sostanza», cioè il fatto che a lei «sembra essere difficile rivolgersi al Paese, parlare agli italiani anziché ai suoi compagni di partito».
È a guardar bene la stessa critica di Massimo Franco: l’incapacità di Meloni di smarcarsi dal ruolo di leader di un partito orgogliosamente minoritario per assumere una posa da statista nazionale. Anche il direttore del Corriere, Luciano Fontana, martedì scorso ha espresso qualche perplessità sull’azione di governo ricordando «mosse che sono state solo rivendicazioni del proprio passato, desiderio di uscire da un angolo che non esiste più, revanscismo culturale di cui non si sente davvero il bisogno». La borghesia non ha bisogno di Tolkien e tantomeno delle bravate di meloniani “scappati di casa” ma di un governo in grado di rimettere in piedi un’economia che, decimali dell’Istat a parte, è una groviera pieni di buchi, per non parlare delle condizioni sempre più drammatiche del welfare.
Alcune ricerche segnalano una grande preoccupazione degli imprenditori del Nord che, sfumata la “fase eroica” di Matteo Salvini, si è voltata verso Meloni: un anno dopo però non si vedono questi grandi risultati, e un antenna sensibile a questi mondi come il Corriere della Sera annusa l’aria che tira.
Il caso Pozzolo è destinato a spegnersi una volta che questi sarà stato marginalizzato dal suo partito ma comunque lascia un’inquietudine che si salda con l’assenza totale di indicazioni per il futuro, esattamente il “messaggio” della legge di Bilancio: dove si vuole portare il Paese, questo governo non lo sa. Ed è questo il senso profondo degli articoli del Corriere: cara presidente, a parte la piccineria dei tuoi, ci spieghi cosa vuoi fare dell’Italia? Ecco, è in questo buco nero che la premier sta cadendo, in questa sua ansiogena ricerca di qualcosa da dire che non sia l’abituale ricorso alla retorica e all’invettiva.
Inizia così il nuovo anno di una premier che oggi affronta la sua prima vera conferenza stampa di “inizio anno” – quella dell’anno scorso era giusto un’occasione per conoscerla – alla quale arriva con tanto fumo e poco arrosto, qualche acciacco psicofisico, molte delusioni dai suoi seguaci. Comincia a conoscere, Giorgia Meloni, le sabbie mobili della politica. E le deve attraversare da sola, perché nessuno l’aiuterà.