ClickfarmIl web si sta riempiendo di bot pronti a scrivere al posto nostro

Google e Microsoft stanno lanciando funzionalità basate su IA nei loro servizi, come l'assistente di scrittura in Chrome e Windows. Questi strumenti possono essere utili per alcune persone, ma incoraggiano il business dei bot automatizzati che producono contenuti su vasta scala, influenzando la qualità e l'autenticità delle informazioni online

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Da qualche settimana, “The Hairpin”, celebrato blog statunitense chiuso nel 2018, è tornato a pubblicare. Il sito non somiglia per niente a quello che è stato perché i nuovi contenuti sono stati scritti da intelligenze artificiali generative e hanno il chiaro intento di sfruttare la cosiddetta SEO (Search Engine Optimization, una serie di norme per rendere un sito più visibile sui motori di ricerca) per attirare visitatori e quindi vendere più pubblicità. Il caso di “The Hairpin” sta facendo discutere perché una testata tanto amata dal pubblico è tornata in versione zombie tradendo completamente la sua storia e i suoi ideali. A volerlo non sono stati i suoi vecchi editori ma un DJ serbo, tale Nebojša Vujinović Vujo, che dice di aver comprato circa duemila vecchi domini che poi riempie di testo fatto da IA.

Quello che sta succedendo era stato previsto da anni da molti osservatori, che denunciavano la pericolosa applicazione delle IA generative a un modello di business digitale che già da tempo sembrava prediligere contenuti di scarsa qualità, prodotti da vere e proprie clickfarm (fattorie di click). C’è stato un periodo in cui i motori di ricerca cercavano almeno di limitare il fenomeno e dare meno visibilità ai siti palesemente costruiti per sfruttare le regole dell’algoritmo. La scorsa settimana Google ha invece presentato tre nuove funzionalità sperimentali basate sulle IA per il suo browser Chrome, che viene usato quotidianamente da 3,4 miliardi di persone. Le prime due sono abbastanza innocue – cercano di usare le intelligenze artificiali per migliorare l’esperienza e l’organizzazione delle tab sul browser, ad esempio – mentre la terza è potenzialmente rivoluzionaria: si tratta di un tastino con su scritto «Aiutami a scrivere», che compare in ogni form in cui è prevista la scrittura da parte dell’utente. Basta cliccare sul riquadro, accennare qualche parola per chiedere aiuto e l’assistente IA comincerà a compilare un testo.

«Scrivere sul web può intimorire, specialmente se si vuole articolare i propri pensieri su forum o spazi pubblici», ha scritto Google sul suo blog presentando il progetto, dove ha annunciato questo strumento per dare più “fiducia” agli utenti. Qualcosa di simile è stato fatto anche da Microsoft con Windows: il web si sta insomma riempiendo di bot pronti a prenderci la mano e scrivere al posto nostro. Questo tipo di innovazione può essere utile ad alcune persone – per molti la scrittura di una mail lavorativa può essere un’esperienza frustrante e l’IA può effettivamente velocizzarla – ma apre innumerevoli porte ai bot automatizzati, che grazie alle IA d’ultima generazione hanno potuto dilagare sul web e sui social network in modo ancora più massiccio. Sia Twitter che Amazon sono pieni di account e venditori che pubblicano contenuti scritti dalle IA di OpenAI: come lo sappiamo? Dagli annunci Amazon che contengono il messaggio d’errore di OpenAI, ad esempio, che sono sintomo di un’attività di bot che va ben oltre le apparenze.

Non è solo un problema testuale. Ormai qualsiasi ricerca su Google Immagini porta in superficie contenuti palesemente generati da IA che inquinano i risultati – e rendono Google sempre meno efficace in quello che ha sempre fatto meglio di tutti: la ricerca sul web. Non è un cambiamento da poco. Per quanto sperimentale, la nuova funzionalità va a rovesciare uno dei fondamenti della nostra esperienza online: come ha scritto il giornalista Jon Herrman sul New York Magazine, «la rete per come la conosciamo è praticamente il risultato di miliardi di persone che scrivono su miliardi di riquadri testuali su browser con l’intento di raggiungere gli altre persone. Che succede quando questi riquadri si compilano da soli?».

Lo scopriremo presto. Nel frattempo, negli Stati Uniti continuano i tagli di personale nei quotidiani e nelle riviste, anche a causa del disfacimento del modello pubblicitario online, mai stato particolarmente redditizio e reso ancora più precario dalla possibilità di creare contenuto più o meno “SEO” in pochi secondi, all’infinito, riempiendo il web di rumore e spazzatura che rende poco, certo, ma costa ancora meno. Il vero problema è per gli esseri umani, gli autori e il pubblico tradizionale, che devono imparare a gestire il fenomeno e sviluppare strumenti e capacità con cui filtrare i contenuti “veri” da quelli sintetici. Peccato che Google e Microsoft, in tutto questo, abbiano deciso di non aiutare.

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