Sotto stressLa nuova preoccupante bolla del sistema bancario americano

Per sopravvivere a crolli e speculazioni, diversi istituti di credito regionali negli Stati Uniti stanno intraprendendo operazioni di fusione e acquisizione, contribuendo a una maggiore instabilità e volatilità del mercato. Ad agitare gli analisti è la particolare rapida fuga di depositi non assicurati

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Dopo il collasso di tre istituti di credito regionali statunitensi nel marzo scorso il settore è di nuovo sotto stress. Infatti, in un solo giorno le azioni della New York Community Bank (Nycb) sono crollate del trentotto per cento, dopo aver riportato una perdita di duecentocinquantadue milioni di dollari nell’ultimo trimestre. Anche l’indice bancario regionale Kbw è sceso del sei per cento, il suo più grande calo giornaliero da maggio. Non sono crolli improvvisi e momentanei. Le perdite sono continuate, colpendo altre banche regionali, tra cui la Bank of California, la BankUnited con base in Florida, la Western Alliance Bank dell’Arizona, la Bank OZK dell’Arkansas e la Valley National Bank del New Jersey.

I queste situazioni c’è sempre una certa speculazione che soffia sul fuoco. Si stima che chi ha scommesso sul crollo delle azioni delle banche regionali abbia registrato profitti per seicentottantacinque milioni di dollari in un giorno! Perciò gli investitori e le autorità di regolamentazione sono di nuovo in allerta. Una delle cause sarebbe l’esposizione al mercato immobiliare commerciale che è da tempo in difficoltà. Ci sarebbero state delle grosse perdite sui prestiti immobiliari concessi. Le banche sono state e sono costrette ad accantonare cospicui fondi per coprire eventuali perdite. C’è anche una nefasta eredità lasciata dalla pandemia: il valore di molti immobili, infatti, sarebbe crollato poiché milioni di lavoratori sono ancorati al lavoro a distanza, lasciando gli uffici vacanti o sottoutilizzati. Ancora una volta, però, è soprattutto l’alto tasso d’interesse della Federal Reserve al 5,5 per cento a mettere in difficoltà molte banche, colme di titoli Treasury in perdita, e a rendere difficile il pagamento dei prestiti accesi dagli investitori immobiliari. Anche la recente decisione del governatore Jerome Powell di non ritoccare al ribasso i tassi ha dato una spallata al mercato.

Vi è poi la richiesta da parte della Federal deposit insurance corporation (Fdic) alle banche di riempire i suoi fondi svuotati per i salvataggi fatti la scorsa primavera. La Fdic è l’agenzia indipendente del governo statunitense che garantisce i depositi fino a duecentocinqauntamila dollari. Si stima che le banche regionali americane dovrebbero versarle almeno cinquecento milioni di dollari. Inoltre, per sopravvivere molte banche regionali starebbero portando avanti numerose operazioni di fusione/acquisizione e ciò renderebbe il mercato più instabile, volatile.

La crisi immobiliare americana sta mettendo, com’era prevedibile, in serie difficoltà anche alcune banche europee, canadesi e giapponesi esposte sul mercato immobiliare statunitense. Al riguardo, la banca privata svizzera, gestore patrimoniale, Julius Baer, ha registrato forti ribassi dei suoi profitti e altre banche maggiori, come la Deutsche Bank, hanno dovuto accantonare delle riserve extra per far fronte a eventuali perdite su investimenti immobiliari americani. 

Anche i salvataggi fatti lo scorso anno hanno lasciato dei buchi irrisolti. Ad esempio, la Nycb ha registrato delle difficoltà a seguito dell’acquisizione di prestiti per un valore di tredici miliardi di dollari dalla Signature Bank di New York, uno dei tre istituti di credito falliti lo scorso anno. Molte banche regionali lamentano rilevanti diminuzioni del loro cosiddetto net interest income (nii), che è la differenza tra quanto esse guadagnano sui prestiti concessi e gli interessi pagati sui depositi. Per riuscire a trattenere i depositi dei clienti in fuga e in cerca di compensi più alti, esse hanno dovuto alzare gli interessi offerti. 

In un recente discorso, Michael J. Hsu, presidente dell’Office of the Controller of the Currency (Occ), l’agenzia federale di vigilanza bancaria, ha analizzato le crisi bancarie del 2023 evidenziando tre grandi problematiche: la “fuga dei depositi” non assicurati è sempre più veloce; mantenere degli asset liquidi non è sufficiente in caso di grave stress; il contagio colpisce le grandi banche anche in mancanza di un loro rapporto diretto con quelle regionali in crisi. Si ricordi che nella Silicon Valley Bank, il cui fallimento è stato il secondo più grande della storia statunitense, il novanta per cento dei depositi non erano assicurati e, al sorgere della crisi, in precipitosa fuga. 

Hsu ha inoltre riportato che la Fdic evidenzia che i depositi non assicurati sono aumentati del dieci per cento annuo, passando dai duemilatrecento miliardi di dollari del 2009 ai settemilasettecento miliardi del 2022. Molte più banche si basano su depositi non assicurati. Inoltre, le banche, che sono visionate dall’Occ, hanno dodicimila miliardi di dollari di depositi, il quaranta per cento dei quali, pari a quattromilaottocento miliardi, è senza l’assicurazione della Fdic. 

In altre parole, il sistema bancario americano è seduto su una bomba a orologeria. In caso di stress o di crisi, i “run”, cioè le fughe dei depositanti dalle banche, diventerebbero incontrollabili. Continuiamo a pensare che il G20 debba affrontare il tema di una riforma radicale del sistema che non riguarda soltanto gli Stati Uniti.

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