Attenzione, attenzione, arriva il tiranno, il despota, il dittatore, il sovrano assoluto, il caudillo, il duce, lo zar, il conducator. Ma dove? In Italia, perbacco. Però la Resistenza già si organizza raccogliendo l’armamentario usato nell’autunno del 2016, la celebre e vittoriosa battaglia contro il referendum di Matteo Renzi, la Austerlitz democratica che salvò la democrazia italiana (consegnandola a Giuseppe Conte, ma questo è un altro discorso). E dunque, il primo marzo avremo un anticipo di primavera dei popoli nella sede nazionale della Cgil, location perfetta per elevare il nuovo allarme democratico, con il compagno Maurizio Landini a officiare la messa cantata e far suonare le campane contro il nuovo Diavolo, alias premierato.
«Un capo assoluto in un’Italia spezzata», recita la locandina con un inquietante figuro che ha le sembianze di un Napoleone ringiovanito sguainante la spada per indicare ai soldati la prateria da conquistare: macché Stendhal, macché Hegel, macché Manzoni, robetta al confronto dei relatori. Otre al segretario della Cgil, ecco Rosy Bindi, già acquartierata al riparo dei libri di don Dossetti, ecco Gianfranco Pagliarulo, ex cossuttiano presidente di un’Anpi diventata succursale di Avanguardia Operaia, ecco l’ottimo don Luigi Ciotti, il giurista Ugo De Siervo e poi ancora Silvia Albano, la leader di Magistratura democratica (poteva mancare?), e ancora Franco Russo (ma è l’ex leader del Sessantotto romano?) e via gruppettareggiando. Diranno, costoro, che il premierato è l’anticamera del fascismo – un po’ come il «sospetto è l’anticamera della verità» di padre Ennio Pintacuda – che con questi chiari di luna meloniani è pur sempre un’opinione sostenibile.
Peccato che la designazione del premier fosse una proposta di quell’Ulivo che Rosy Bindi ricorda come la stagione più felice del Paese e che dunque, scartando l’inquietante ipotesi che Romano Prodi fosse un fascista, è una ipotesi alla quale la sinistra o come si chiama adesso potrebbe e dovrebbe lavorare proprio per evitare le conseguenze peggiori che una legge sbagliata come quella del governo potrebbe produrre: l’indicazione sulla scheda elettorale del premier è meglio della elezione diretta perché non ne fa un presidente del Consiglio assoluto. Difficile associare al fascismo anche il compagno Cesare Salvi che tradusse per la Bicamerale del compagno D’Alema le Tesi dell’Ulivo in articolato puntuale che comprendeva il nome del premier sulla scheda e che poi non entrò nel Partito democratico perché gli sembrava troppo moderato.
Ma no, Landini, Bindi e Pagliarulo (che prossimamente su questi schermi verranno imitati da Giuseppe Conte i dai contiani del Pd) preferiscono la scorciatoia dello spauracchio di Bonaparte – tra l’altro esempio sbagliatissimo come si può leggere su qualunque manuale di liceo – per spronare il popolo a scendere in battaglia contro chi vorrebbe toccare la famosa Costituzione «più bella del mondo».
Tutto questo è il manifesto del più chiuso conservatorismo istituzionale che sulle riforme prelude all’Aventino, cioè la strada più spiccia per la milionesima sconfitta politica. Sconfitta che si prospetta ancora più rovinosa per Elly Schlein se saranno confermate le voci, corroborate da foto in osteria su Instagram, di una candidatura alle Europee di Mariana Mazzucato, l’economista antisviluppista che chiuderebbe per sempre la stagione riformista del Partito democratico.
Quando la destra avrà vinto per abbandono del campo da parte della sinistra sarà troppo tardi, ci guarderemo in giro e non scorgeremo nessun Pagliarulo pronto a salvare l’Italia.