I trattori o, meglio, i trattoristi europei – mobilitati dalle ricche organizzazioni che rappresentano il venti per cento dei nove milioni di aziende agricole europee e beneficiano dell’ottanta per cento del trenta per cento del bilancio dell’Unione – hanno scelto la comoda scorciatoia della Place de Luxembourg a Bruxelles per scagliare la loro rabbia verso il Parlamento europeo. Essi hanno fatto finta di ignorare che le responsabilità delle decisioni sui prezzi agricoli, sui prelievi, sugli aiuti e sui limiti quantitativi sono esclusivamente nelle mani del Consiglio (vedi l’articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) e dunque dei ministri dell’agricoltura che, dal 1962, gestiscono in piena autonomia la Politica Agricola Comune (Pac). In più di sessanta anni i ministri dell’agricoltura hanno versato fiumi di denaro a favore delle produzioni più avvantaggiate, delle grandi e intensive proprietà e delle società di intermediazione con una somma che ammonta per il periodo 2021-2027 a trecento-novanta miliardi di euro e cioè a un terzo del bilancio europeo e a cinquanta-cinque miliardi di euro all’anno.
La rumorosa e talvolta violenta protesta delle prevalenti lobbies agricole ha fatto immediatamente presa sui governi nazionali che si sono precipitati a versare altro denaro su chi guida la rivolta – come è avvenuto in Italia dove le occupazioni e i blocchi delle strade a imitazione delle azioni che sono venute dal Nord hanno spinto Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida a mettere mano al portafoglio dei contribuenti concedendo loro altri tre miliardi di sovvenzioni sottratti al Piano nazionale di ripresa e resilienza, dimenticando di affrontare i problemi di fondo dell’agricoltura europea.
Questi problemi sono legati agli effetti catastrofici delle siccità ma anche delle inondazioni provocate dall’inquinamento, agli eccessi delle burocrazie nazionali, alla persistente dipendenza dai combustibili fossili, all’egemonia delle grandi distribuzioni e delle imprese di trasformazione insieme al ruolo prevalente delle multinazionali che controllano il commercio internazionale da paesi terzi spesso esportatori di prodotti meno salubri e meno costosi.
Che fine hanno fatto l’ennesima riforma della Pac, le garanzie per più sostegni ai giovani per il ricambio generazionale, gli aiuti ai produttori per contrastare l’egemonia dell’intermediazione e della grande distribuzione, il sostegno a chi ha deciso di investire più nella qualità che nella quantità e nel restauro della natura e che fine hanno fatto le promesse per far fronte alla desertificazione delle aree interne?
Nello stesso momento in cui centinaia di trattoristi mettevano a ferro e fuoco la Place de Luxembourg, rovesciavano letame inquinato da pesticidi, lanciavano uova rigorosamente non biologiche e abbattevano la statua del povero John Cockerill vestito da meccanico eretta nel 1872, il Consiglio europeo chiudeva – ancor prima di iniziare la sua riunione – un’operazione di restyling del quadro finanziario europeo bloccata da Viktor Orban un mese prima.
Con lo stile tipico del linguaggio intergovernativo, il Consiglio europeo ha risposto da par suo agli agricoltori che tentavano di assaltare il Parlamento europeo informandoli di aver «discusso delle sfide che si pongono nel settore agricolo e delle preoccupazioni espresse dagli agricoltori invitando il Consiglio e la Commissione a far avanzare i lavori per quanto necessario impegnandosi a seguire l’evoluzione della situazione e ricordando il ruolo essenziale della Politica Agricola Comune», come a dire di andare a protestare davanti al Justus Lipsius e al Berlaymont e non davanti al Palazzo Spinelli.
Vale la pena di esaminare in dettaglio le decisioni politiche adottate all’unanimità dal Consiglio europeo, che dovranno essere tradotte in atti conseguenti dal Consiglio in accordo con il Parlamento europeo. Esse sono quasi tutte concentrate sul raggiungimento dell’obiettivo della promessa di fornire all’Ucraina in guerra contro l’aggressione della Russia di Putin cinquanta miliardi di euro per i due terzi in prestiti che saranno effettivamente elargiti solo quando inizierà l’opera di ricostruzione dopo il conflitto con un rigoroso e opportuno monitoraggio delle modalità in cui saranno spesi per evitare fenomeni di corruzione e per un terzo in sovvenzioni dirette di carattere umanitario e non militare.
Il Consiglio europeo ha adottato la precondizione che l’Ucraina prosegua nei suoi sforzi di rendere effettivi i meccanismi democratici, il rispetto dello Stato di diritto e la garanzia dei diritti fondamentali insieme a quelli delle minoranze, la lotta ai conflitti di interesse e alle frodi con la conseguenza che i pagamenti potrebbero essere sospesi se queste precondizioni non fossero rispettate. Mentre il Consiglio europeo prometteva con la mano destra di elargire i cinquanta miliardi all’Ucraina suggerendo ad Ursula von der Leyen – felice di accogliere questo suggerimento – di essere meno rigida sulle violazioni dello Stato di diritto in Ungheria, i ministri dell’agricoltura promettevano con la mano sinistra ai grandi produttori di grano europeo di ridurne le importazioni dall’Ucraina.
Vi sono poi questioni nello stesso tempo finanziarie e cioè di politica fiscale ed economiche che emergono sotto traccia dalle decisioni politiche del Consiglio europeo che ha venduto alle opinioni pubbliche nazionali una revisione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 di un ammontare teorico di poco più di sessantaquattro miliardi di Euro che si riducono invece della metà se sottraiamo i trenta-tre miliardi di prestiti all’Ucraina con la conseguenza che il Consiglio consegnerà al Parlamento europeo un bilancio pluriennale rivisto pari a meno della metà di quello che aveva chiesto l’assemblea e alla metà di quello proposto dalla Commissione europea.
Se esaminiamo attentamente le briciole del bilancio rivisto dal Consiglio europeo ci rendiamo conto:
- che la risposta europea all’IRA statunitense (Inflation Reduction Act), che ammonta a trecentosessantanove miliardi di dollari, è di 1,5 miliardi di euro per finanziare il cosiddetto Strategic Technologies for Europe Platform (STEP) tutto dedicato a un Fondo per la difesa europea,
- che due miliardi saranno dedicati alla protezione delle frontiere…quando sarà adottato il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo a cui si aggiunge il criptico suggerimento del Consiglio europeo alla Commissione di usare le potenzialità della politica di coesione
- che 7,6 miliardi saranno globalmente dedicati alla “tensione geopolitica straordinaria” per sostenere i rifugiati siriani in Turchia, il fondo europeo per l’Africa, i Balcani occidentali e le regioni vicine del Sud e di nuovo l’Africa insieme allo NDICI (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument)
- che due miliardi saranno dedicati al cosiddetto strumento della flessibilità (Flexibility Instrument) in particolare per un aggiornamento delle priorità nella PAC e nella politica di coesione
- e che infine 1,5 miliardi di euro saranno stanziati per far fronte ai disastri naturali e alle crisi umanitarie nei paesi terzi attraverso gli strumenti della SEAR (Solidarity and Emergency Aid Reserve).
Nessuna decisione invece è stata presa o annunciata sulle nuove risorse proprie proposte dalla Commissione europea nel 2020 che, se introdotte, saranno usate per rimborsare almeno una parte del debito contratto con il NGEU mentre se non saranno introdotte il debito contratto con il Ngeu e anche quello dei prestiti all’Ucraina dovranno essere rimborsati dagli Stati membri poiché il bilancio europeo sarà utilizzato solo come garanzia del provvisorio debito europeo per pagare gli interessi ma non per rimborsare i debiti entro il 2058.
Nulla è stato detto sull’urgenza e la necessità di rafforzare risposte alle emergenze come il Fondo per una transizione ecologica giusta (Just Transition Fund) che riguarda anche la Pac e, soprattutto, sulle risposte che l’Unione europea deve dare alle sfide della transizione ecologica, alla transizione digitale e alle innovazioni tecnologiche che implicano una politica industriale europea e al superamento della dipendenza dall’egemonia statunitense in termini di sicurezza e di difesa a cui si deve accompagnare un impegno più consistente ed europeo nella dimensione sociale.
Sarà capace il Parlamento europeo usando un potere che gli è attribuito dal Trattato di rifiutare – con un atto di pacifica insurrezione istituzionale – l’approvazione della proposta di regolamento del Consiglio che fisserà il nuovo ammontare del Quadro Finanziario Pluriennale così come deciso dal Consiglio europeo sapendo che gli aiuti all’Ucraina possono essere adottati anche al di fuori del bilancio europeo così come del resto appare da una attenta lettura delle conclusioni del Vertice del 1° febbraio?
Noi crediamo che il rifiuto del Parlamento europeo sarebbe un atto di responsabilità e di saggezza politica se chiaramente giustificato anche in vista del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale e costringerebbe il Consiglio europeo e poi il Consiglio a ritornare sui suoi passi.
Quest’atto di pacifica insurrezione istituzionale sul tema della fiscalità europea – che potrebbe accompagnarsi alla constatazione del silenzio assordante e ostile del Consiglio europeo sulla necessità di superare il Trattato di Lisbona – potrebbe avere lo stesso effetto potenziale che ebbe nel 1979 il rigetto del bilancio per il 1980 dando vita all’iniziativa costituente conclusasi il 14 febbraio 1984 con l’approvazione di un nuovo progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea (“Progetto Spinelli”).