Due anni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, molti articoli persistono nel definirla la «guerra di Putin» piuttosto che «guerra russa». Per i giornalisti occidentali è inaccettabile sostenere che la guerra di Putin sia anche la guerra dei russi, poiché sarebbe come dire che le azioni del governo sono sostenute dalla popolazione. Ci sono stati (rari) articoli che hanno tentato di esplorare come la cosiddetta guerra di Putin sia effettivamente percepita come una guerra russa, ma si sono concentrati principalmente sulle élite del paese. In generale, si osserva una certa reticenza tra gli analisti occidentali nell’ammettere che una quota significativa della popolazione russa appoggi l’invasione dell’Ucraina. Inizialmente, si prevedeva che ci sarebbe stata una vasta opposizione popolare, con manifestazioni di dissenso sia all’interno della Russia che tra i russi residenti all’estero. Tuttavia, a due anni dall’avvio del conflitto, non si sono registrate proteste di rilievo né in Russia né nel resto del mondo. Questo solleva un interrogativo: ci sono prove di un sostegno diffuso alla guerra? E quali sono le ragioni sottostanti?
Nonostante il frequente scetticismo riguardo l’affidabilità dei sondaggi in contesti autoritari, ci sono dati indipendenti che forniscono una certa chiarezza sul sostegno alla guerra da parte della popolazione russa. Ad esempio, secondo un rapporto di novembre 2023 della Carnegie Endowment for International Peace, redatto dagli esperti russi Denis Volkov e Andrei Kolesnikov, che si avvale di dati valutati secondo i criteri di affidabilità stabiliti dall’Associazione Americana per la Ricerca sull’Opinione Pubblica, circa il settantacinque per cento degli intervistati manifesta un sostegno costante alle azioni militari russe in Ucraina. Invece solo il diciannove-venti per cento, si esprime contro tali azioni, dimostrando una posizione coerentemente anti-guerra, e solo il tredici per cento di questi attribuisce la responsabilità degli eventi al proprio paese. Un ulteriore sette per cento si trova in difficoltà nel rispondere, una percentuale che gli autori scelgono di non categorizzare automaticamente come contraria alla guerra.
Come giustificano le loro posizioni i russi? Il patriottismo emerge come il motivo predominante («sostengo la Russia», «sto dalla parte del mio paese», eccetera). È rilevante osservare che la maggior parte dei sostenitori appare apatica, appoggiando passivamente il regime in attesa della conclusione del conflitto, pur avendo la possibilità di opporsi. Secondo il professor A.J. Motyl, questa passività riflette una scelta consapevole di rimanere indifferenti di fronte alle atrocità commesse in Ucraina a nome del popolo russo, nonostante la consapevolezza di tali crimini. Al contrario, gli oppositori della “operazione militare speciale” motivano la loro posizione con argomentazioni umanitarie («la guerra è sempre un male», sono «per la pace» e «contro la guerra»).
Queste conclusioni sono in linea con le osservazioni della ricercatrice inglese Jade McGlynn contenute nel suo libro “Russia’s War”, che suggerisce come la guerra della Russia derivi da un complesso intreccio di fattori, tra cui anche apatia, mancanza di empatia e interesse personale. Questo libro di McGlynn assomiglia alla situazione descritta in “The German War dallo storico di Oxford Nicholas Stargardt, evidenziando come i crimini di guerra del regime di Hitler fossero ampiamente conosciuti dalla gente comune che accettava tacitamente o apertamente la politica del governo. Lo stesso sta accadendo ora in Russia.
Senza alcun dubbio, c’è un grande impatto della propaganda, ma una ragione più importante dietro un così diffuso sostegno alla guerra si addentra profondamente nell’essenza stessa della cultura russa. «Le sue ideologie derivano dalla convinzione nella supremazia spirituale della Russia sull’occidente decadente, un concetto radicato nelle tradizioni intellettuali delle narrazioni slavofile ed eurasiatiche prevalenti nel discorso geopolitico russo durante il XIX e il XX secolo», spiega Lesia Ogryzko.
Infatti, nel suo libro “Lost Kingdom”, lo storico di Harvard Serhii Plokhy spiega meticolosamente come i leader russi, da Ivan il Terribile a Joseph Stalin fino a Vladimir Putin, hanno sfruttato le forme esistenti di identità, guerra ed espansione territoriale per raggiungere la supremazia imperiale. Cioè, la cultura russa è profondamente radicata nell’imperialismo e molti milioni di russi comuni appoggiano la guerra a causa della loro percezione dell’Ucraina attraverso il prisma distorto dell’imperialismo, conferma ancora una volta la professoressa di antropologia Neringa Klumbytė.
Non inganniamoci, veniamo a patti con la realtà e riconosciamo che etichettarla come «guerra di Putin» è un modo semplicistico per ignorare le complessità più sfumate dietro il sostegno della maggioranza russa alla guerra a loro nome. “In My Name” è la scelta della maggioranza dei russi, una realtà difficile da accettare per molti italiani, ma è importante farlo.