Gli antibioticiLa muffa che ha cambiato il mondo

Come scrive Steven Johnson in “Extra Life” (Castelvecchi), dietro alle grandi conquiste scientifiche si nascondono storie di innovazione e cooperazione, menti brillanti e massicci investimenti in servizi pubblici

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Come spesso accade con le innovazioni più importanti, non possia­mo dire con certezza quando sia stata inventata esattamente la penicil­lina. Possiamo rispondere a questa domanda indicando un intervallo di tempo, non un punto preciso su una linea temporale. Tutto quello che possiamo dire è che il farmaco miracoloso degli antibiotici non esisteva per niente prima del 1928, e verso la metà del 1944 costituiva un punto di forza concreto nel mondo, che salvava migliaia di vite ogni settimana e dava ai Paesi alleati un silenzioso ma fondamentale vantaggio sulle potenze dell’Asse.

A segnare l’inizio di questa rivo­luzione è effettivamente un professore distratto con un laboratorio disordinato, ma ci sono molti racconti del genere nella storia dell’in­novazione, anche in quella medica.

Ciò che rese la rivoluzione della penicillina così diversa fu la rapidità con cui le intuizioni provenienti da un laboratorio disordinato riuscirono a raggiungere la produzione di massa, grazie in gran parte alle capacità delle forze armate degli Stati Uniti e delle aziende farmaceutiche private di produrne grandi quantità. Il composto stesso era parte di ciò che doveva essere scoper­to e perfezionato per portare la penicillina nel mondo, ma era altret­tanto importante inventare nuovi percorsi di condivisione e amplifi­cazione della scoperta: dal laboratorio di Fleming alla Dunn School, a Peoria e alle spiagge della Normandia. Qual è stato l’impatto di questa rivoluzione, tutto sommato? Le scoperte della penicillina e degli antibiotici suoi successori (quasi tut­ti sviluppati nei due decenni successivi al primo test riuscito di Florey e Heatley nel 1942) salvarono in maniera diretta centinaia di milioni, se non miliardi, di vite in tutto il mondo.

Prima che Fleming lasciasse quella capsula di Petri esposta agli elementi, la tubercolosi era la terza causa di morte più comune negli Stati Uniti; oggi non è nemmeno tra le prime cinquanta. Il potere magico degli antibiotici di scongiurare le infezioni rese inoltre possibili nuove cure: procedure chirurgiche radicali come i trapianti di organi, che erano estremamente vulne­rabili alle infezioni potenzialmente letali, diventarono molto più si­cure, il che fece sì che entrassero nella pratica medica ordinaria. La rivoluzione degli antibiotici segnò inoltre un momento di svolta nella storia della medicina. Grazie a questi farmaci miracolosi, la medicina si liberò finalmente dai tetri vincoli della tesi di McKeown. Sebbene un certo numero di nuovi farmaci prima della penicillina avessero migliorato le condizioni di salute – l’originale terapia per la sifilide detta “proiettile magico” di Paul Ehrlich, il Salvarsan, insieme alle iniezioni di insulina per i diabetici e ai sulfamidici degli anni Trenta – gli antibiotici offrirono una linea di difesa senza precedenti contro malattie e infezioni.

A partire dagli anni del dopoguerra, l’aspettati­va di vita umana non venne allungata solo dalle istituzioni sanitarie pubbliche e dal latte pastorizzato, ma anche da pillole che finalmente offrivano qualcosa di più utile di un semplice effetto placebo.

Oggi gli ospedali non sono più luoghi in cui si va a morire, dove vengono offerte solo bende e magre consolazioni. Gli interventi chirurgici di routine raramente provocano infezioni potenzialmente letali. Nei de­cenni successivi, agli antibiotici si aggiunsero nuove forme di terapia: le statine e gli ACE-inibitori usati per curare le malattie cardiache; un nuovo regime di immunoterapie che promettono di curare alcune forme di cancro in maniera definitiva. Il modello di ricerca farmaco­logica casuale che fu valido per la prima generazione di antibiotici – tutte quelle muffe estratte da campioni di terreno in tutto il mondo – venne progressivamente sostituito da un nuovo approccio, a vol­te chiamato “progettazione razionale dei farmaci”, in cui vengono progettati nuovi composti terapeutici utilizzando i computer, sulla base della nostra conoscenza dei recettori molecolari sulla superficie di un virus o di altri agenti patogeni (il cocktail contro l’AIDS che ha salvato milioni di vite negli ultimi vent’anni fu uno dei primi trionfi dell’approccio della progettazione razionale).

Le cure fasulle riman­gono sul mercato, ma la maggior parte degli articoli messi in vendita da rinomate aziende farmaceutiche funzionano effettivamente come pubblicizzato. Ci è voluto più tempo di quanto ci saremmo aspettati, ma i medici di oggi, armati della penicillina e dei suoi numerosi di­scendenti, hanno finalmente sviluppato la capacità di curare le malat­tie, non solo di prevenirle. La scoperta e la diffusione della penicillina ci ricordano che in­crociamo le discipline per lo stesso motivo per cui incrociamo le va­rietà di grano: in questo modo diventano più resistenti, più fertili.

Cosa è stato necessario per andare dal 1928 al 1942 nella nostra linea temporale della penicillina? Ci sono voluti un laboratorio caotico, dei pedologi, un negozio di alimentari, una tinozza di liquore di mais e un intero apparato militare. Ci sono voluti chimici e ingegneri industriali. E tutti questi soggetti facevano affidamento su intuizioni e tecnologie che erano nate dai produttori di lenti, dall’industria dei tessuti e dagli agricoltori del Diciannovesimo secolo. Vista in questo modo, l’intera rete somiglia quasi a uno degli eccentrici marchingegni di Norman Heatley: una catena di improbabili complici legati l’uno all’altro. Non ne fuoriesce una storia lineare quanto il classico cliché del genio al mi­croscopio, ma si tratta di un resoconto più accurato di come qualcosa di così rivoluzionario come la penicillina sia diventato parte della vita di tutti i giorni. Per ragioni comprensibili, la storia dell’innovazione – medica e non – tende a essere organizzata attorno a singole scoperte epocali: la penicillina o il vaccino contro il vaiolo. Ma a volte può essere altret­tanto istruttivo indagare il motivo per cui una specifica innovazione non sia stata realizzata in una determinata società. La questione del perché i nazisti non siano stati in grado di sviluppare la bomba ato­mica – e delle potenziali conseguenze nel caso ci fossero riusciti – è stata ponderata molte volte nel corso degli anni. Ma altrettanto inte­ressante è la questione del perché non siano riusciti a sviluppare la penicillina. Un fattore potrebbe essere stato l’investimento tedesco nella classe di farmaci noti come sulfamidici, i primi predecessori degli antibiotici che avevano causato la morte di un numero esorbitante di americani nell’incidente del 1937.

In un primo momento i sulfamidici erano stati sviluppati all’inizio degli anni Trenta presso il conglomerato chimico e farmaceutico tedesco IG Farben. I sulfamidici erano in grado di combattere le infezioni batteriche – le truppe alleate avevano portato con sé pacchetti di sulfamidici prima dell’introduzione della penicilli­na – ma i batteri sviluppavano facilmente resistenza a questi farmaci, e potevano essi stessi essere tossici. Il fatto che la Germania fosse già alquanto impegnata nella produzione di massa di sulfamidici – forse incoraggiata da una sorta di orgoglio nazionalistico per averli scoper­ti – potrebbe aver reso i tedeschi meno propensi a indagare su altre alternative. Come nel caso della bomba atomica, la fuga di cervelli che coinvolse gli scienziati tedeschi, molti dei quali ebrei, fuggiti prima della guerra, diede agli Alleati un ulteriore vantaggio, ovviamente tra­mite Ernst Boris Chain.

Molti dei chimici rimasti erano più focalizzati sullo sviluppo di gas letali per realizzare la “soluzione finale” che sui farmaci salvavita. Un ulteriore fattore fu senza dubbio la segretezza con cui gli ameri­cani portarono avanti il progetto. Mentre il lavoro iniziale di Fleming – insieme ad alcune delle scoperte di Oxford – era di dominio pub­blico, quando il team di Peoria cominciò a fare progressi significativi, il governo degli Stati Uniti si era reso conto del vantaggio strategico che il farmaco miracoloso avrebbe potuto dare loro contro i nazisti. Dodici giorni dopo l’attacco di Pearl Harbor, il presidente Roosevelt istituì un’agenzia di emergenza che operava in tempo di guerra, nota come Office of Censorship (‘Ufficio della censura’), con il compito di monitorare – e, laddove necessario, impedire – il flusso di informazio­ni verso i nemici del Paese.

Come sarebbe emerso in seguito, le atti­vità più celebri dell’ufficio riguardarono il suo sostegno top secret al Progetto Manhattan. Ma il giorno dopo l’istituzione di questo ufficio, il team di Peoria fu informato che «qualsiasi informazione rilevante per la produzione e l’uso [della penicillina] avrebbe dovuto essere fortemente limitata». Il regime nazista fece alcuni tentativi di produrre il farmaco su lar­ga scala. Un piccolo gruppo di scienziati del colorificio Hoechst iniziò a studiare il farmaco nel 1942, ma il progetto rimase molto indietro rispetto agli sviluppi di Peoria. Il colorificio Hoechst fu in grado di passare dalla produzione in laboratorio di piccoli lotti alla produzione in fabbrica soltanto alla fine del 1944. Pare che Hitler e i suoi colla­boratori avessero riconosciuto i potenziali benefici del farmaco; un telegramma da Berlino alla Hoechst del marzo 1945 richiedeva un resoconto di quante tonnellate di penicillina al giorno riuscissero a produrre. Anche in quella fase tale richiesta risultava folle; gli impian­ti chimici della Hoechst non si avvicinavano affatto a quel livello di capacità produttiva.

Pochi giorni dopo l’arrivo del telegramma, il co­lorificio Hoechst fu sequestrato dai soldati alleati, il che pose fine alla tardiva ricerca del farmaco miracoloso da parte dei nazisti. C’è un curioso episodio a margine della storia della penicillina nel­la Seconda Guerra Mondiale. Il 20 luglio 1944, poco più di un mese dopo lo sbarco delle forze alleate in Normandia, una bomba piaz­zata in una sala conferenze presso il quartier generale militare della Tana del Lupo fu sul punto di uccidere Hitler. Durante l’esplosione, Hitler riportò ferite, abrasioni e ustioni; molte delle sue ferite conte­nevano schegge di legno provenienti dal tavolo della sala conferenze che lo avevano protetto dalla violenza dell’esplosione.

Riconoscendo il rischio di infezione che aveva ucciso Reinhard Heydrich due anni prima a Praga, il medico di Hitler, Theodor Morell, curò le sue ferite con una polvere misteriosa. Nei suoi diari, Morell si riferiva a Hitler come al «Paziente A»; i suoi appunti sulla notte del 20 luglio ripor­tano quanto segue: «Paziente A: somministrato collirio, congiuntivite all’occhio destro. L’una e quindici del pomeriggio. Polso settantadue. Otto di sera. Polso cento, regolare, forte, pressione sanguigna 165-170. Lesioni medicate con polvere di penicillina». Dove aveva preso quella penicillina Morell? Nel luglio del 1944 i laboratori Hoechst ne avevano a malapena intrapreso perfino la pro­duzione su piccola scala, e non era chiaro se i farmaci che stavano producendo in quella fase fossero efficaci. Ma Morell aveva accesso a una diversa fornitura del farmaco miracoloso: alcune fiale scoperte su dei soldati americani catturati che gli erano state passate da un chirurgo tedesco.

Dopo l’attentato del 20 luglio, un altro medico im­plorò Morell di usare alcuni degli antibiotici rubati per curare un altro nazista che era stato gravemente ferito nell’esplosione. Morell rifiutò, presumibilmente volendo riservare la sua scorta di penicillina di alta qualità per il Führer. Si può solo speculare sul corso degli eventi che avrebbe potuto fare seguito se Hitler avesse sviluppato lo stesso tipo di infezione mortale che aveva ucciso Heydrich. Quasi certamente la guerra sarebbe finita mesi prima di quanto non sia successo. Ma a pre­scindere dalle eventuali ripercussioni, gli appunti sul diario del dottor Morell indicano in ogni caso che nella storia della rete internazionale che portò la penicillina alle masse si verificò un colpo di scena piut­tosto ironico. Fleming, Florey, Chain, Heatley, Mary Hunt: svolsero tutti un ruolo fondamentale nell’aiutare gli Alleati a trionfare sulla Germania nazista. E probabilmente contribuirono anche a salvare la vita di Hitler.

Copyright © 2021 by Steven Johnson

This edition published by arrangement with Riverhead Books, an imprint of Penguin Publishing Group, a division of Penguin Random House LLC, through Berla & Griffini Rights Agency

© 2023 Lit Edizioni s.a.s.

Da “EXTRA LIFE. Come in un secolo abbiamo guadagnato una vita in più” di Steven Johnson, traduzione di Serena Parisi, Castelvecchi editore. Estratto dal capitolo “La muffa che ha cambiato il mondo. Gli antibiotici”.

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