Tra Déat e SecchiaIl pacifismo anti-Ucraina e la sinistra a metà tra il pacifismo anni ’30 e quello anni ’50

Il mondo progressista sottovaluta la mostruosità di certe sue posizioni ipocrite: rispetto al sostegno a Kyjiv, un Governo Pd-M5s-Sinistra si sarebbe subito diviso al proprio interno e forse sarebbe arrivato a chiederne la resa al campione del fascismo antidemocratico globale

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«Grazie al governo di centrodestra guidato da Meloni l’Italia sostiene l’Ucraina; se domani avessimo un governo Pd-M5s-Sinistra Italiana immediatamente verrebbe meno il sostegno». Lo ha detto ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari a margine della presentazione della medaglia celebrativa dei due anni di resistenza ucraina, realizzata dall’Istituto Poligrafico e dalla Zecca dello Stato. Delle due affermazioni è discutibile la prima, ma irrefutabile la seconda.

È molto discutibile che l’attuale esecutivo stia assicurando un vero sostegno all’Ucraina, considerando che il nostro, in rapporto al Pil, è tra i Paesi dell’Unione europea più ingenerosi – al pari di Francia e Spagna – nei finanziamenti alla resistenza degli ucraini e che la linea dichiarata dall’esecutivo (in Parlamento, non nelle segrete stanze della diplomazia parallela) è quella di un uso ricattatorio dello stallo militare, per portare gli ucraini a un tavolo di pace che cristallizzi la situazione sul campo, come se il “chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, scurdámmoce ’o ppassato” rappresentasse un’opzione strategica realistica e non il solito lacrimevole libretto del melodramma pacifista nazionale.

Quel che si può dire è invece che il Governo Meloni in ambito europeo e Nato si è posto al servizio del disegno del fronte atlantico, senza rompere né all’interno con Salvini né all’esterno con Orbán, ma impedendo che l’Italia, con il suo peso politico, incrinasse l’unità della coalizione di Ramstein.

È invece indiscutibile che un Governo Pd-M5s-Sinistra si sarebbe subito diviso al proprio interno, esportando le divisioni al proprio esterno e rappresentando per l’Unione europea e per la Nato un problema molto più grave e ingestibile dell’Ungheria. Peraltro, se per miracolo del cielo e sventura degli ucraini ad aggiudicarsi le elezioni fosse stata la coalizione di Enrico Letta, senza neppure bisogno dell’apporto del Movimento 5 stelle, i veti pacifisti sarebbero stati meno diffusi, ma altrettanto determinanti.

Ho l’impressione che nel mondo progressista, anche in quello, per così dire, responsabile, e tra gli adulti rimasti nelle stanze del Nazareno, si sottovaluti la mostruosità di una situazione che avrebbe visto un anno fa (e l’abbiamo scampata) o potrebbe vedere in futuro (e incrociamo le dita), la bella e buona sinistra democratica e antifascista pilotare pacifisticamente da Palazzo Chigi la resa dell’Ucraina al campione del fascismo anti-democratico globale.

Il «clima da anni ’30», di cui parla giustamente Vittorio Emanuele Parsi, in Italia non si manifesta solo tra gli aspiranti Quisling del Reich putiniano globale, ma soprattutto tra gli ancora più pericolosi emuli dei Neville Chamberlain e Édouard Daladier, quando non dei Marcel Déat e degli alfieri della pace come rendita della resa altrui.

Questo pacifismo neutralista anni 30, risciacquato nell’antiamericanismo pacifista degli anni 50, è divenuto la koinè ideologica della sinistra comunista, ma è rimasto anche in seguito la maschera di scena di un fiancheggiamento totalitario ideologicamente reversibile e sempre potenzialmente rossobruno, perché radicato essenzialmente nella diffidenza o nella ripulsa per l’Occidente democratico. Pacifisti sempre verso ogni tiranno, condiscendenti sempre verso ogni tirannia, non importa se fascista, comunista, islamista o confuciana, purché nemica del comune nemico americano.

Nel cuore di una sinistra diventata sinceramente atlantista – anche più sinceramente e coerentemente di una destra ruffiana, che segue ineluttabilmente Joe Biden ma è pronta a sdilinquirsi per Donald Trump – i conti con un pacifismo a cavallo tra Secchia e Deàt rimangono sospesi sul filo del compromesso e dell’ipocrisia, senza la capacità di strappare le pagine oscene dell’album di famiglia, per scacciarne definitivamente i fantasmi.

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