Un dialogo tra sordi. O, quanto meno, tra entità che si muovono con logiche e a velocità completamente diverse. Questo è il commento, inevitabile, dopo l’ultima riunione del Tavolo Sviluppo Automotive che si è tenuta lo scorso 1° febbraio tra Stellantis e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Riunione, peraltro, svoltasi dopo le polemiche innescate dalle dichiarazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e rincarate dalle piccate dichiarazioni dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares.
Al di là delle dichiarazioni di impegno e di buona volontà, Stellantis ha reiterato, inflessibilmente, le sue richieste, riassumibili in due punti. Da una parte, l’impegno dell’Italia ad assicurare il rinvio o la rimozione della normativa Euro 7, pena la cancellazione della produzione della Panda (vecchio tipo) e tagli conseguenti allo stabilimento di Pomigliano. Dall’altra, incentivi all’acquisto di veicoli elettrici, condizione necessaria per il mantenimento della produzione della 500 elettrica a Mirafiori. Pomigliano e Mirafiori sono, nei fatti, gli stabilimenti a maggiore rischio. Altro che nuovi modelli o incremento dei volumi di produzione verso il famoso milione di auto vagheggiato dal ministro Urso: l’aumento dei volumi di produzione ci sarà solo se sarà il mercato a richiederlo.
Da parte sua, il ministro ha presentato il nuovo piano incentivi, a valere su un fondo di circa novecentocinquanta milioni (di cui trecentoventi milioni residuati dal 2023). Nelle condizioni più favorevoli (rottamazione di auto particolarmente inquinanti, acquisto di vetture elettriche, reddito Isee dell’acquirente sotto i trentamila euro), l’incentivo potrà arrivare a 13.750 euro. Nelle sue entusiastiche dichiarazioni, il ministro Urso ha sostenuto che le misure sono rivolte al rinnovo del parco automobilistico italiano, ancora caratterizzato da modelli molto inquinanti (Euro 0, 1,2 e 3), che sono rivolte alle famiglie a reddito basso e infine che saranno «prevalentemente orientate su modelli realizzati negli stabilimenti italiani, per aumentare la produzione nazionale».
Non ha detto, il ministro, che gli incentivi saranno operativi tra un paio di mesi, né che per partorire il provvedimento è stato necessario più di un anno. Soprattutto non ha detto come pensa concretamente di orientare la scelta dell’acquirente verso un modello prodotto in Italia nel rispetto delle normative comunitarie vigenti, anche considerando la tendenza attuale che, negli anni passati, ha visto l’ottanta per cento degli incentivi premiare modelli prodotti all’estero.
Insomma, due visioni e due velocità diverse. Da una parte una grande azienda multinazionale che definisce le sue strategie secondo una logica globale: deve combattere una concorrenza molto agguerrita (soprattutto cinese) e con costi di produzione significativamente più bassi e quindi localizza i suoi stabilimenti, soprattutto per i modelli con minori margini di guadagno, in funzione di costi di produzione e incentivi offerti dallo Stato ospitante. Non a caso, nel settore delle auto elettriche il panorama di automobili oggi effettivamente prodotte in stabilimenti italiani è veramente limitato, anzi essenzialmente si riduce alla sola 500 elettrica prodotta a Mirafiori. La 600 elettrica è prodotta in Polonia, la nuova Panda elettrica sarà prodotta in Serbia, circostanza annunciata qualche mese fa e mai smentita né da Stellantis, né dal nostro Governo. L’unico obiettivo è avere profitti per risponderne agli azionisti: Mirafiori continuerà a produrre la 500 elettrica se i volumi richiesti dal mercato lo richiederanno. Dall’altra un Governo che continua ad agire, peraltro con lentezze e ritardi, utilizzando strumenti antichi, che, alla prova dei fatti si sono già dimostrati inefficaci (come dimostra l’importo rilevante del fondo stanziato con scopi analoghi nel 2023 e rimasto inutilizzato), in particolare se l’obiettivo è quello di favorire la produzione nazionale.
E che il nostro ministro abbia davvero una visione antica del problema lo dimostra il fatto che alle minacce di Stellantis di tagli agli stabilimenti italiani ha provocatoriamente risposto proponendo l’ingresso dello Stato italiano nel capitale di Stellantis, imitando in tal senso il Governo francese, in realtà già presente nel capitale Peugeot prima della fusione tra FCA e PSA. Pensa, il ministro, di poter in tal modo influenzare le strategie del gruppo: peccato che la scorsa estate, quando il governo francese chiese di riportare in Francia la produzione della piccola Peugeot 208 elettrica, ottenne un fermo rifiuto da Tavares, proprio in nome dell’antieconomicità dell’operazione.
In questa polemica Tavares-Urso sullo sfondo rimane il vero problema: solo quarantaseimila persone hanno comprato un’auto elettrica nel 2023. Il grande tema, sul quale il Governo italiano non assume impegni, riguarda il potenziamento, anzi la capillarizzazione della rete di ricarica a livello nazionale. Certamente è necessario un rinnovato e ancor più intenso impegno di Ricerca & Sviluppo per creare sistemi di ricarica più veloci e batterie più performanti, ma una cosa è chiara, non si vendono auto se i clienti non hanno la certezza di poter ricaricare la batteria dell’auto rapidamente e senza difficoltà di approvvigionamento di energia.
Quindi, senza questo deciso intervento è inutile che Urso imponga investimenti a perdere in Italia a Stellantis come è altrettanto inutile che Tavares chieda incentivi all’acquisto di auto elettriche destinate a rimanere invendute, o a restare in garage. Solo con l’aumento del volume di vendite di auto elettriche si avrebbe quale immediata ricaduta l’aumento dei volumi di produzione anche in Italia, con un aumento dell’occupazione, un rafforzamento di Stellantis e un miglioramento dei dati sull’inquinamento.