«Qualche giorno fa, tra una tartina e l’altra, un amico gallerista mi ha confessato una triste verità», così inizia uno dei primissimi racconti di “Storie dell’arte contemporanea”, un libro pieno di tristi verità, un libro sull’arte contemporanea e sul lavoro culturale scritto da Andrea Bellini curatore italiano e direttore del “Centre d’Art Contemporain Genève” e della “Biennial of Moving Images” e pubblicato da Timeo, la nuova casa editrice che indaga con un mosaico di saggi il mondo contemporaneo.
È un affresco di questi anni Venti, in cui sono caduti tutti gli ideali, sono cadute tutte le idee di arte e rappresentazioni e in cui non esistono neanche più gli oggetti artistici, ma tutto è narrazione e fluttuazione finanziaria. Non si insegue più il talento, non si fanno più mostre ma si costruiscono veloci transazioni economiche su oggetti inesistenti di enfant prodige che vengono velocemente fagocitati e di cui vengono sputate le ossa.
Bellini costruisce un libro che è un album di istantanee, una raccolta di monadi che formano tutte insieme il bosco universale dell’arte contemporanea oggi, è un affresco di come esistano tanti mondi dell’arte e tante storie dell’arte, di come sia un’economia sensibile sempre di più alle mode del momento, alle fluttuazioni dei social. In questo scenario Andrea Bellini non vuole denunciare, non vuole puntare il dito, vuole creare un gioco di specchi e portarci, con una tagliente ironia, a chiederci cosa sia vero, cosa invece sia iperbole, cosa rappresentazione. Ma come in ogni gioco che si rispetti, anche il nostro protagonista indossa varie maschere perché non possiamo considerarlo solo come un infiltrato, come la nostra spia, non può essere solo lo sguardo della serratura, Bellini in questo mondo è immerso, l’ha costruito anche lui in questi anni, è quindi forse un idealista sconfitto o più probabilmente un cannibale pentito?
Non troverete nel libro la risposta ma sicuramente possiamo rintracciare un filo d’oro che racconta come il mondo della cultura sia cambiato negli ultimi vent’anni e sia diventato una grande Glamorama a cielo aperto in cui conta di più il come si fa arte che l’arte in sé, come la si vende che l’opera artistica. Come è un libro pieno di tristi verità, è un libro pieno di tartine, salame masticato con «voluttà», cocktail, «mozzarelle di bufala, carciofi fritti, ricottine e altre delizie», miscele «di spritz e arachidi», in coda al buffet, vernissage, opening, festival, cene, feste, performance, inaugurazioni e in quelle code, a quelle feste si vendono e comprano opere, si scelgono artisti, tra una burrata e un tramezzino al salmone, senza vederle, tra un flute e un altro, tra una tonalità di maionese e l’altra.