Che sta succedendo a TikTok? Il social network della cinese Bytedance sembra attraversare un periodo di crisi e trasformazione che alcuni osservatori interpretano come l’inizio di un flesso discendente dopo anni di crescita continua. La scorsa settimana, infatti, l’Universal Music Group ha tolto tutto il suo catalogo di canzoni e artisti – che comprende Taylor Swift, Drake e Olivia Rodrigo, per dirne tre – dal social network, dopo un fallimentare tentativo di accordo commerciale per il loro utilizzo. A decidere per lo strappo è stata Universal, il cui amministratore delegato è stato recentemente intervistato dal New Yorker a proposito del dilagare delle intelligenze artificiali – e il loro impatto per i diritti d’autore – su TikTok.
L’assenza di musica ha già avuto effetti pesanti per gli utenti e i creatori di contenuti di TikTok, social network che più di ogni altro ha saputo fondersi con il business discografico, creando fenomeni come Lil Nas X ma anche contribuendo alla recente riscoperta di classici come Murder on the Dancefloor di Sophie Ellis-Bextor. Negli ultimi anni molti musicisti erano dolorosamente scesi a patti con i nuovi meccanismi di promozione imposti da TikTok, che li costringe a produrre video e provare disperatamente ad agganciare un loro brano a un trend del momento. Ora si ritrovano con un social in parte muto e ancora in stato confusionale: un TikTok silenzioso è invece un composto strano, quasi un ossimoro. A cosa può servire?
Perdere un elemento tanto identitario può fare male ma TikTok può sempre sperare di venire a patti con Universal, magari rivedendo le proprie regole riguardo ai diritti e alle Ia. Il problema è che nel frattempo TikTok ha deciso di modificare altre caratteristiche fondamentali del social network, cominciando dal formato dei suoi contenuti. TikTok ha contribuito ad affermare il modello verticale di video – influenzando i Reels di Instagram e gli Shorts di YouTube – ma ora sta spingendo decisamente verso un’altra direzione, cambiando sia formato che lunghezza: da pochi giorni infatti, gli utenti di TikTok possono caricare video in formato orizzontale lunghi fino a trenta minuti. Per agevolare la novità tra i creator, l’algoritmo è stato aggiornato in modo da favorire questo tipo di contenuti.
E poi ci sono le pubblicità. Lo scorso settembre l’azienda ha lanciato TikTok Shop, una funzione con cui acquistare prodotti d’ogni tipo e di qualità non esattamente eccelsa, in un tentativo di avvicinarsi al modello di Temu e Shein, novelli giganti dell’e-commerce cinese. Secondo Gizmodo, TikTok Shop ha un giro d’affari di quattro milioni di dollari al giorno solo negli Stati Uniti, ma l’aggiunta del bottone “Compra subito” non è stata senza conseguenze nel social. Gli effetti principali sono stati l’aumento delle pubblicità e del numero di influencer che pubblicano video promozionali di prodotti, sapendo che l’algoritmo aumenterà la loro diffusione. Secondo Bloomberg, inoltre, TikTok starebbe lavorando a modo per identificare in tempo reale i prodotti presenti nei video per poter linkare a prodotti simili disponibili sullo Shop, in modo da rendere qualsiasi video una potenziale pubblicità.
Il rischio concreto è che il social network che più ha influenzato e influenza la cultura, specie quella giovanile, finisca col diventare un feed pieno di post pubblicitari, prodotti tarocchi e video che pubblicizzano i suddetti tarocchi, contendendosi la nostra attenzione con… video lunghi mezz’ora che cercano di rosicchiare spazio a YouTube. Uno scenario che conferma lo stato confuso di TikTok, vittima del proprio successo e incapace di fare tesoro della lezione che i suoi stessi competitor gli hanno fornito negli ultimi anni: quando Instagram ha cambiato improvvisamente algoritmo e aspetto per inseguire TikTok, molti utenti hanno protestato al grido di «Make Instagram Instagram Again». Dopo qualche mese di crisi, i Reels hanno trovato una loro quadra all’interno di Instagram, che ha dovuto limitare e rivedere il progetto Shop, con cui aveva ambizioni simil a quelli che oggi ha TikTok.
Questo processo di decadimento è stato descritto – e previsto – nel gennaio del 2013 dallo scrittore Cory Doctorow in un post sul suo blog in cui raccontava la «enshittification» di TikTok: «Ecco come muoiono le piattaforme», scrisse «prima trattano bene i loro utenti, poi li abusano per favorire i loro clienti; infine abusano anche i loro clienti per tenere a sé tutto il valore prodotto». E alla fine, conclude Doctorow, «muoiono». L’enshittification non è una condanna definitiva, ovviamente: anzi, evitarla sarebbe anche facile, basta tornare sui propri passi e ricordarsi che il successo di una piattaforma si basa sulla soddisfazione dei suoi utenti e creator.