Fattori generazionali, abitudini di consumo, cambiamenti climatici e una competizione più trasversale sulla tavola e al bancone, in cui oggi entrano in gioco anche altre tipologie di prodotto, come cocktail, distillati, fermentati e analcolici.
Sono tutte motivazioni che stanno facendo scendere i consumi di vini rossi, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo. Non si tratta di una novità, ma di una tendenza in atto da anni, che è stata soltanto in parte scombinata dagli sconvolgimenti dei lockdown. Una di quelle tendenze che in economia di solito si definiscono con il termine “strutturale” e alla quale sarà importante reagire in fretta, determinando un nuovo corso per i nostri vini rossi.
Cosa sta succedendo? Per capirlo, abbiamo deciso di approfondire i dati elaborati dall’Osservatorio di Unione Italiana Vini e diffusi in occasione di Amarone Opera Prima, l’evento annuale con cui il Consorzio Valpolicella presenta la nuova annata in commercio del proprio Amarone.
Vino rosso, dove vai
All’inizio di febbraio al convegno di apertura di Amarone Opera Prima sono stati presentati i dati sui vini rossi elaborati dall’Osservatorio Uiv per il Consorzio Valpolicella e il quadro che ne esce è preoccupante.
Dopo un repentino aumento nel 2021 dei consumi di vino in tutto il mondo, immediatamente successivo ai primi e più duri lockdown (322 milioni di ettolitri), nel 2023 si è scesi a 304 milioni di ettolitri e secondo le previsioni il livello dovrebbe rimanere sostanzialmente statico fino al 2027. Questo perché da una parte i consumi di bollicine e di vini bianchi crescono – le prime in maniera più evidente, i secondi più timidamente – mentre i consumi di vini rossi calano, tanto in Italia quanto in tutti i principali mercati globali per i nostri vini.
Il vino rosso nel mondo
Gli Stati Uniti sono uno dei mercati principali per il vino a livello globale. Qui i consumi di vini rossi nel 2007 toccavano quota 405 milioni di litri e hanno mostrato i primi cedimenti nel 2008 – erano gli anni del crollo della Lehman Brothers e della più recente e pesante crisi economica globale prima di quella attuale – per poi intraprendere una discesa che li ha portati a 290 milioni di litri nel 2023, il livello più basso dal 2002.
Tra i giovani di fascia 18-34 anni le bevande più presenti sono spirits e birra (rispettivamente trenta per cento e ventisette per cento contro una percentuale del tredici per cento che preferisce vino) e nella fascia 35-54 anni spirits e vino se la giocano (quarantadue contro quarantuno per cento), mentre il vino resta la bevanda favorita dal quarantasei per cento dei consumatori solo nella fascia dai 55 anni in su.
Analoga è la situazione in Canada, altra area di sbocco importante per l’export dei nostri vini. Negli Stati canadesi si beve meno rispetto al recente passato, tanto che le importazioni dall’estero nel 2023 sono scese al minimo degli ultimi dieci anni (215 milioni di litri contro i 245 del 2014). Anche qui le generazioni più giovani danno segnali di rottura rispetto a quelle più mature, con elevate percentuali di persone che intendono ridurre il consumo generale di alcolici, un po’ per motivi salutistici e un po’ per diversificazione delle abitudini. Ne avevamo parlato in un recente articolo sulla prima fiera italiana dedicata ai prodotti no e low alcohol, secondo i dati di International Wine and Spirits Research, il 78 per cento dei consumatori di bevande a basso o assento contenuto di alcol consumano in realtà anche alcolici, in parte proprio nelle occasioni in cui vogliono o devono evitare il consumo di alcol.
Passando al Vecchio Continente, se in Germania e Svizzera la tipologia rossa resta stabile, i segnali più preoccupanti arrivano dalla Scandinavia. Sia in Norvegia che in Svezia, i consumi di rosso sono in calo costante dal 2010-2012, in favore di altre tipologie che hanno saputo fare migliore presa sui giovani e in particolare sulle donne, che oggi trainano oltre i due terzi dei consumi di vino in questi mercati.
Infine, occorre sfatare un mito. La prossima volta che sentirete qualcuno dire che in Cina si consumano per lo più vini rossi, potrete rispondergli che ormai si tratta di una leggenda metropolitana. Dal 2018 a oggi – salvo l’eccezione del solito rimbalzo nel 2021 – si è passati da centocinquanta a ottanta milioni di litri consumati.
Il vino rosso in Italia
La situazione per il vino rosso non migliora nel nostro Paese, che pure è tra i maggiori produttori al mondo di questa tipologia, alla quale è unito da un legame culturale e antico. Qui i consumi di vino in generale sono in calo, in particolar modo per quanto riguarda la tipologia rossa. Nella grande distribuzione, ad esempio, il vino rosso è passato dai 395 milioni di litri del 2017 ai 323 del 2023.
Nell’arco degli ultimi quindici anni il numero dei consumatori di vino è rimasto generalmente stabile, ma sono cambiate le abitudini. Dal 2008 sono calati di oltre il venti per cento i consumatori quotidiani (dodici milioni), mentre sono saliti del trentacinque per cento quelli saltuari, che oggi costituiscono la maggioranza (diciassette milioni di persone), in particolar modo tra le generazioni più giovani (oggi un quarto dei consumatori di vino è sotto i trentaquattro anni).
Fortissima inoltre la propensione alla differenziazione nelle abitudini di consumo: sono sempre meno i “mono-bevanda” e sempre più le persone dedite a consumi di tipologie di alcolici diversi, a seconda dell’occasione e dello stile di vita, con predilezione verso gli aperitivi, in forte crescita ad esempio tra le donne. A proposito di aperitivi, una delle fonti di traino per gli spumanti – unica categoria in crescita – è proprio l’impiego nella preparazione di drink, un’abitudine ereditata dal periodo del lockdown e ancora in aumento.
Spunti di reazione, l’Amarone insegna
A tirar fuori questi dati è stato il consorzio di una delle più prestigiose denominazioni rosse italiane, facendo qualcosa che a livello comunicativo non si vedeva da molto tempo: evidenziare una difficoltà. L’Amarone della Valpolicella infatti nel 2023 ha subìto una battuta d’arresto in termini di volumi esportati (meno dodici per cento). Sebbene questo lo riporti soltanto in linea con il 2019, anche il re dei vini veronesi dovrà fare i conti con la tendenza globale.
Nel suo intervento al convegno di Amarone Opera Prima Andrea Lonardi, vicepresidente del Consorzio Valpolicella e Master of Wine, ha analizzato la situazione. «I produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati, come il Nord Europa e il Nord America, a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole, adatto per essere consumato lontano dai pasti. Questo ha consentito un grande successo volumetrico, ma così si è ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento di mercato richiedeva».
Oggi però quel segmento non cresce più e a competere con l’Amarone sono arrivati altri vini prodotti con il metodo dell’appassimento, ma con prezzi più bassi. «Subire un attacco di questo tipo significa avere consapevolezza che quel vino era un modello facilmente imitabile: il metodo era superiore al territorio», ha detto Lonardi, che ha anche indicato una serie di possibilità di reazione, a partire dal focus su un segmento ben preciso.
«I vini commercialmente più solidi – ha sottolineato il vicepresidente – sono i fine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, valori e un wording comunicativo specifico, tali da renderli identitari. Per accedere a questo segmento occorre pensare a un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo e quindi la messa a riposo delle uve, il territorio (suolo, vitigni e clima), le persone (produttori e imprese) e la comunicazione. La sfida dal volume al valore è chiaramente complessa e richiede dei cambiamenti culturali, produttivi, legislativi e comunicativi. A questo si aggiunge la sfida del cambiamento climatico».
Per rispondere, la Valpolicella ha molti elementi su cui fare leva. Così il Master of Wine ha menzionato la forma di allevamento locale, la pergola, particolarmente idonea a proteggere le uve dal sole, ma anche una serie di vitigni autoctoni e di selezioni massali e clonali ancora in larga parte da studiare, che potrebbero portare un miglioramento in termini di alcolicità. La tecnica dell’appassimento dovrà essere ripensata e ridimensionata in termini qualitativi, così come le tecniche di vinificazione.
Maggior rilievo deve invece essere riservato al territorio: «La Valpolicella non è solo il terzo più grande giacimento di calcare al mondo dopo Champagne e Borgogna, ma è anche un ricco e forte tessuto sociale e imprenditoriale», ha affermato Lonardi, sottolineando la necessità di una visione chiara sui target del futuro.
Svolta comunicativa e generazionale
Mentre le svolte produttive richiederanno confronti, sforzi e tempo, quelle che in Valpolicella sono già iniziate sono la svolta comunicativa e un diverso approccio generazionale.
Questa edizione di Amarone Opera Prima è infatti solo la conferma di un sistema di comunicazione adottato già da alcuni anni dal Consorzio di tutela, attraverso la pubblicazione di report annuali – disponibili online sul sito istituzionale e diffusi alla stampa – che riassumono i dati produttivi, agronomici e commerciali della denominazione.
Allo stesso modo, negli ultimi anni si sta cercando di dare sempre maggior risalto ai componenti più giovani della filiera produttiva. Un esempio è la creazione, su iniziativa del Consorzio e del presidente Christian Marchesini, del Gruppo Giovani, un collettivo di giovani produttori che partecipa alle principali scelte per il territorio, oltre che a eventi e iniziative di promozione specifiche (ne avevamo parlato in questo articolo). E questo può essere un vantaggio soprattutto per comunicare con i consumatori più giovani. Come ha sottolineato Lonardi, «Le nuove generazioni fuggono dal comando e dall’imposizione. Ricercano la cosiddetta accountability, ovvero il coinvolgimento mentale e culturale. Questo lo dobbiamo immaginare anche comunicato ai giornalisti, agli opinon leader e ai consumatori».
Prendere atto dei propri punti deboli e iniziare ad affrontarli è già, in parte, un primo risultato positivo. Ma pensandoci, quanti altri territori del vino potrebbero imparare dall’esempio della Valpolicella?