Isolare il perimetro di quello che si può definire con il termine eco-ansia non è semplice: sia perché questo disturbo non è ancora ufficialmente riconosciuto dall’American Psychological Association – viene piuttosto catalogato come una risposta legittima nei confronti di un tema sicuramente molto presente nelle nostre vite come quello degli effetti dei cambiamenti climatici – e poi perché non è semplice scorporare quello che è eco-ansia da ansia tout court.
«Rispetto ad altri tipi di fobie, l’eco-ansia non è ancora stata codificata, anche se ultimamente è un fenomeno sempre più attenzionato da parte delle alte sfere che si occupano di psicologia e psicoterapia, perché in molti casi è tanto forte da provocare sintomatologia fisica», spiega a Linkiesta Martina Migliore, psicoterapeuta e direttrice della formazione in Serenis. «In letteratura sono presenti anche casi molto allarmanti di suicidi che, sebbene non riguardino la popolazione italiana, nel mondo sono stati documentati. In particolare in questo momento si sta studiando la possibile correlazione tra l’aumento della temperatura di un grado celsius e l’aumento dei suicidi».
Manifestazioni tanto forti da concludersi con un suicidio, o che portano le persone a rivolgersi al pronto soccorso, fanno scattare ben più di un campanello di allarme, anche per quanto riguarda la pressione sul sistema sanitario, ma non è semplice, anche per gli specialisti, isolare il disturbo dell’eco-ansia.
«La difficoltà dal punto di vista terapeutico è distinguere qual è una reazione consapevolmente allarmata da una manifestazione che indica la presenza di un disturbo. Difficilmente si hanno episodi di eco-ansia in soggetti che non hanno una predisposizione. Fermo restando che le conseguenze dei cambiamenti climatici dovrebbero preoccupare tutti, è un fatto che quando avvengono alluvioni o fenomeni atmosferici estremi, anche lontani, si alza il picco delle manifestazioni che vengono classificate come eco-ansia. I più colpiti sono i più giovani, che sono molto più consapevoli e impegnati rispetto alle generazioni precedenti, ma anche più sfiduciati», aggiunge l’esperta.
Quando l’eco-ansia diventa preoccupante?
Il problema dell’ansia è che quando arriva oltre un certo limite porta alla catastrofizzazione massima e alla negatività cronica: è quello che succede quando si inizia a pensare che non ci sia più niente da fare, che non ci sia più un futuro. I campanelli d’allarme da non sottovalutare sono sicuramente i disturbi fisici come quelli del sonno, dell’alimentazione e in generale dell’omeostasi quotidiana, cioè dell’alterazione dei normali ritmi di vita. Altri sintomi fisici preoccupanti dell’ansia in generale sono tachicardia, blocco del respiro, testa confusa, tremori, pelle d’oca, blocco allo stomaco fino alla manifestazione estrema dell’attacco di panico.
Quali contromisure si possono adottare se si pensa di soffrire di eco-ansia?
In generale tutti i metodi che già si usano per i disturbi d’ansia. Intanto va detto che se la problematica è molto pervasiva, invalidante e interferisce con la normale routine quotidiana, è arrivato il momento di chiedere aiuto a un professionista. Se invece non si arriva a quel livello ci sono molte contromisure fai da te da adottare, come il ricorso alla mindfulness. Con questo termine ci si riferisce a un insieme molto grande e molto vario di strategie per rimettere i piedi per terra: soprattutto il controllo del respiro, che è come se fungesse da ansiolitico naturale perché fa leva su dei meccanismi neurofisiologici calmanti. Controllare il respiro e utilizzare la respirazione diaframmatica riattiva infatti il nervo vago, che contrasta i sistemi di attivazione dell’ansia e consente di concentrarsi sul presente: in questo genere di situazioni è importante infatti riuscire a distinguere dove inizia e dove finisce la nostra sfera di controllo.
Cioè?
Noi abbiamo una sfera di controllo quotidiana su cui possiamo effettivamente agire, in questo senso è utile chiedersi quali sono le azioni immediatamente disponibili che si possono fare per occuparsi consapevolmente dell’argomento che ci mette a disagio, in questo caso i cambiamenti climatici: mi posso informare, posso decidere di parlarne con qualcuno di esperto, entrare a far parte di un’associazione e fare del volontariato magari. Con l’acronimo Act ci si riferisce ad una tipologia di terapia comportamentale basata sull’azione, la Acceptance and commitment therapy che consiste nel contrastare gli stati d’ansia con azioni impegnate che rispecchiano i nostri valori. Un volume che mi sento di consigliare relativamente a questo è “Se il mondo ti crolla addosso”, un libro di autoaiuto scritto in un modo semplicissimo che fa vedere attraverso tutta una serie di strategie comportamentali come si può agire per stare lontani dal rimuginio e dirigersi verso ciò che è importante. Ad esempio: sei preoccupato per l’ambiente? Cosa puoi fare nella tua vita per migliorare le cose? L’obiettivo è infatti quello di trasformare il catastrofismo in pensiero dominato dai nostri valori e supportarlo con azioni quotidiane. Le terapie comportamentali Act si basano molto anche sulla filosofia buddista: capisco cosa per me è importante e dove voglio impegnarmi e mi attivo in questo senso.
Al di là delle manifestazioni fisiche, è possibile pensare di soffrire di eco-ansia se magari ci sentiamo a disagio di fronte a comportamenti che riteniamo dannosi per l’ambiente?
L’ansia è un’emozione fondamentale che ci serve per prepararci alle varie evenienze della vita, che ci segnala quando potremmo essere in pericolo: è quando all’ansia associamo il rimuginio e diamo vita ad una spirale di pensieri negativi che può diventare un disturbo serio. Se ci si sente a disagio o si viene colti dall’ansia, ma allontanando la causa questa passa, allora stiamo semplicemente vivendo un’emozione che ci mette in allerta. Come strategia anti-rimuginio consiglierei il podcast del collega Gabriele Caselli che si chiama appunto “Il Rimuginio” e che fa tutto un esame su cosa sia il pensiero circolare che fa peggiorare il nostro stato di ansia. Rimanere bloccati sugli aspetti negativi di quello che ci preoccupa è dannoso perché quando si è completamente presi nel rimuginio non si riesce a smettere di pensare ad altro e si sprofonda nella negatività estrema: non c’è più niente da fare. Questi cinque episodi sono funzionali a riconoscere il rimuginio e a capire quando è il momento di contrastarlo.