All’orizzonte della politica europea si può ormai intravedere la linea che separa lo scenario attuale – in cui alla guida dell’ Europarlamento permane da anni la triade dei Popolari, Socialisti e Liberali -– con l’assetto prossimo futuro dell’Unione, che a giugno andrà a configurarsi con il responso delle urne, tutt’altro che scontato. Seppure nei sondaggi la triade sembri tenere, lasciando quell’orizzonte sgombro da perturbazioni, non si può però prescindere dal mettere a fuoco alcuni elementi di contesto che lasciano oggettivamente immaginare anche altre possibili evoluzioni nel futuro governo dell’Unione europea, seppur remote,
Non è irragionevole ipotizzare che il Partito popolare europeo – che malgrado il calo rispetto a quattro anni fa è ancora in testa nei sondaggi, e quindi centrale per la formazione di qualsiasi maggioranza – possa, in prospettiva, rivolgere l’attenzione a destra, visti anche gli ottimi rapporti tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, soprattutto su temi, come il Green Deal o l’immigrazione, per i quali nel programma elettorale del Ppe pare ci sia una maggiore convergenza con i conservatori piuttosto che con i partiti di centrosinistra.
In questo scenario evolutivo, in cui la nostra presidente del Consiglio, che per altro guida i Riformisti e Conservatori Europei, incalza decisa nel viaggio verso Mordor – tanto per riprendere l’allegoria Tolkieniana così cara al suo partito – chi fermerà l’avanzata degli Hobbit? Di sicuro non chi si farà corrompere dall’anello del potere, ovvero chi non saprà rinunciare alle proprie visioni di parte e alle proprie velleità, seppur ben motivate, per confluire su idee comuni e soprattutto sulla comune idea di Europa, superando qualsiasi altra valutazione di merito sul come e con chi.
Questo non è il momento delle crociate individuali, delle sfumature di colore, dei campetti di gioco o degli orticelli, per quanto ben concepiti e coltivati, questo non è il momento di chiudersi in difesa. Questo è il tempo del coraggio e dell’altruismo, del fronte unito, dell’azzurro che è azzurro e non celeste o ceruleo, è tempo del campo comune a prescindere da chi ha coltivato cosa e a da chi raccoglierà cosa, perché ciò che conta è solo l’abbondanza del raccolto, in soldoni: di quanti seggi andranno alle persone con le idee giuste.
Perciò l’individualismo dichiarato dei cosiddetti partiti del leader appare irresponsabile e miope, le traversate nel deserto anacronistiche e masochiste, risultando in ultima istanza facili richiami al voto utile, che purtroppo troverebbe il suo senso come in ogni economica lotta allo spreco, soprattutto con una posta in gioco così importante. Perché bisogna che ce lo diciamo, qualsiasi iniziativa politica che non converga in modo massivo verso una visione politica dell’Unione che abbia a fondamento gli stessi valori di tutela dei diritti e delle libertà su cui essa si è evoluta sino a oggi, è un’iniziativa inutile, se non addirittura dannosa: rinunciare anche solo a uno di quei valori sarebbe esiziale.
Nel libro secondo de “La democrazia in America”, Tocqueville definisce l’individualismo come «un sentimento ponderato e tranquillo, che spinge ogni singolo ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per conto proprio, abbandona volentieri la grande società a se stessa». Così i cittadini si ritirano nella loro piccola società e perdono consapevolezza e interesse nel destino della collettività intesa come somma delle piccole società individualistiche e delle relazioni tra queste. Questo atteggiamento pone le basi da un lato per l’affermazione del dispotismo paterno (detto anche democratico), dall’altro produce una progressiva spoliticizzazione delle masse.
Se trasponiamo queste considerazioni e pensiamo ai giovani partiti dell’area liberale come a delle piccole società, appare piuttosto evidente un certo parallelismo tra la loro attitudine a perseguire dei percorsi autonomi, di fatto individualistici, malgrado la naturale convergenza ideologica delle loro posizioni politiche, e presentandosi quindi come parti separate di un’unica comunità politica, con quanto teorizzato da Tocqueville riguardo agli esiti a cui conduce l’individualismo.
Ed è parodossale che siano proprio i leader di quest’area a ritenere come fattore strategico da ribaltare proprio quella progressiva spoliticizzazione delle masse che Tocqueville descrive come conseguenza di atteggiamenti individualistici di una classe politica autoreferenziale, troppo concentrata sulle regole e sulle strategie di gioco, più interessata al proprio particolare posizionamento che al fine ultimo della propria azione politica. Una classe politica che mentre indica la strada guarda il proprio dito e non l’orizzonte.
E quello dell’Unione europea è sicuramente un orizzonte complesso che prospetta sfide di non poco conto, che riguardano il futuro di questo continente, e non solo. Sfide che andranno affrontate partendo da una visione politica fondata su valori condivisi da chi sarà maggioranza di governo, pertanto scongiurare che tale maggioranza possa essere espressione dei valori propri della destra conservatrice deve essere una priorità assoluta, oltre ogni ragionevole scelta individualistica.
È una questione di responsabilità, prima di tutto, ed è l’unica strategia in grado di ricucire il rapporto fiduciario con un elettorato demotivato e stanco delle irragionevoli schermaglie tra partiti fratelli, mentre fuori qualcuno potrebbe dar fuoco alla casa.