Piazza Cordusio è, negli anni, diventata un po’ un nonluogo. Ovvero, secondo la definizione di Marc Augé, contiene in sé un’insospettabile parvenza di indifferenziazione dovuta ai negozi del tipico centro metropolitano globalizzato, accresciutasi con l’apertura di Starbucks nel gigantesco edificio rimesso a nuovo che prima era il Palazzo delle Poste. L’esplicita veridicità meneghina si staglia con le rassicuranti guglie del Duomo in lontananza. Per il resto, luci stroboscopiche, traffico e vetrine illuminate anche di notte. Per questo, contare su un rifugio, su un luogo vero, privato dell’avverbio di negazione è importante. Lo sa bene Giancarlo Mancino, imprenditore ora a capo del cocktail bar Giardino Cordusio, nascosto proprio in mezzo ai fatiscenti uffici e spazi di consumo.
Centocinquanta coperti a piano terra nello spazio di Palazzo Cordusio Gran Melià. Non sarà un giardino vero e proprio, ma la sensazione di accedere a un universo fiorito, nascosto, al di là dello strepitio della strada c’è: ci sono le foglie color smeraldo che le tonalità dorate dell’illuminazione contribuiscono a rendere simile all’atmosfera che cala in campagna durante l’ora del vespro. Le piante esotiche fanno il resto. Conferma Mancino che l’obiettivo di ricreare le atmosfere di una Milano, nonché di un’Italia, ripulita dalle contaminazioni è confluito nella messa a punto di un aperitivo ad hoc. Originario di Pignola, un piccolo paese collinare nel cuore della Basilicata, premiato più volte a livello internazionale, ha trascorso la sua vita lavorando con i migliori bar e ristoranti nel mondo.
«Un giardino segreto dove ordinare il vero spritz italiano, a base di vino (vermouth) come la ricetta originale riporta. Aperto sempre, sia per gli ospiti dell’hotel sia per chi viene solo per un cocktail», dichiara, sottolineando dunque come la pretesa di autenticità sia oggigiorno un sospiro di nostalgia, un barlume di verità all’interno di una realtà che è diventata duplice, triplice, corretta, annacquata, ritoccata dalle nuove tecnologie, dalle intelligenze artificiali. È di conforto ritirarsi qui, magari da soli, com’era d’uso una volta per gli uomini che uscivano dal lavoro, per godersi “un bicchiere” prima di tornare a casa. È una porta d’accesso ad atmosfere genuine. Oltre allo spritz, come poteva mancare il Negroni? Non lo Sbagliato di casa al bar Basso, bensì una rivisitazione di Mancino che aggiunge una dose di amaro lucano e lo conserva in un’anfora di trenta litri costruita appositamente, di modo che possa rimanere alla sua temperatura ideale senza ossidarsi. Ecco perché si chiama Negroni al fresco.
In realtà gli spritz sono una collezione, come anche i Martini, e si possono declinare con il Lambrusco, il Soave, il Barbera, il Primitivo. E addirittura esistono varianti con il sorbetto al limone di Sorrento, il Ca’ del Bosco, il limoncello. «Undici anni fa ho lanciato il mio vermouth artigianale (Mancino Vermouth, ndr) e l’ho riproposto qui. Ho praticamente “rimasterizzato” il vermouth e l’ho portato prima in Asia dieci anni fa, dove è diventato l’aperitivo più apprezzato da ordinare al bancone o per una cena stellata, e adesso, dopo aver fatto il giro del mondo lo trovi a Milano», racconta Mancino. Una storia di fiera appartenenza alle proprie radici insomma, che in un simile luogo si trova dappertutto, è inciso all’interno della sua prammatica implicita. A partire dalla scelta di non chiamare il barman mediante accezioni straniere, tipo mixologist o altro. Grazie alla gestione del Sunset Hospitality Group, la semplicità, l’asciutto decoro di ciò che è vero si sostituisce a tutto ciò che invece è artefatto, pasticciato, inautentico.