«Arrivare a New York dopo aver vissuto a Tokyo è stato uno shock», esordisce così Erica Di Giovancarlo, nuova direttrice esecutiva per gli Stati Uniti dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Agenzia Ice). «Tokyo a dispetto dei suoi ventisei milioni di abitanti è una città silenziosa e ordinata, qui sei travolto dal rumore e dalla confusione. Ma è evidente che questa è una città unica al mondo».
Laureata in economia e commercio, la dottoressa Di Giovancarlo è entrata nello staff dell’Istituto come funzionario per concorso nel 1992. Dal 2015 al 2019 è stata direttrice in Brasile, dal 2019 al 2023 in Giappone. L’Ice negli Stati Uniti è presente a Chicago, Houston, Miami, Los Angeles e New York, quest’ultimo ufficio è la sede della direttrice ed è quello che più si occupa del comparto food and beverage: «Le sedi sono divise per competenze» spiega a Linkiesta Gastronomika la dottoressa Di Giovancarlo. «Il mondo del cibo per New York rappresenta il quaranta per cento dell’attività. Mangiare e bere bene è uno dei simboli del nostro Paese nel mondo, promuovere i nostri prodotti e la nostra cucina fanno parte del compito che ci è stato assegnato. Anche se il primo settore nel volume di importazioni negli Stati Uniti resta quello meccanico, si raccontano più volentieri le prelibatezze gastronomiche».
I dati ufficiali ci dicono che nel 2023 il volume di affari delle esportazioni del comparto agroalimentare dall’Italia agli Stati Uniti è stato di sette miliardi e trecentocinquanta milioni di dollari, terzo mercato mondiale anche se molto distaccato da Messico e Canada. Insomma lo spazio per crescere non manca.
Ci sono poi aziende che hanno unità produttive oltreoceano: grandi marchi come Ferrero, Barilla, Rana, Salumificio Beretta, Parmalat, Auricchio. Secondo una ricerca dell’Università di Brescia del 2021 (non ci sono dati più recenti) nel comparto alimentare ci sono quarantuno aziende statunitensi a controllo italiano per un totale di quasi undicimila dipendenti.
Dodicimila dei sessantottomila ristoranti di New York (dati pre Covid, ma non si discostano molto dalla realtà attuale) sono classificati come italiani, ma in questo calderone si mescola di tutto, locali dove un italiano non entrerebbe mai perché non vuole riconoscere che le ricette iconiche della cucina “italian american” hanno una vera radice tricolore, inventate dai primi migranti italiani, e tavole dove servono un eccellente risotto o uno spaghetto perfettamente al dente.
«A Tokyo non ho mai mangiato una pasta scotta, anche se cucinata dal un cuoco giapponese» sottolinea Di Giovancarlo «perché sono precisi e rigorosi: non sgarrano un millimetro dai dettami della ricetta. La mia esperienza qui è ancora limitata, ma vedo che, proprio perché il cibo degli italiani negli Stati Uniti ha una storia antica legata alle prime migrazioni e alle materie che si trovavano sul posto, non può essere sempre quello che da noi viene considerato autentico. L’arte di arrangiarsi e la creatività hanno dato vita a nuove ricette. In attesa di provare i migliori ristoranti della città, mi sono concentrata sul rapporto con le aziende. Il mio esordio è stato a Las Vegas al Winter Fancy Food, la grande fiera dell’alimentare che ha il suo clou nella versione estiva che nel 2024 si terrà a New York dal 23 al 25 giugno».
Fancy Food è sicuramente uno dei momenti più importanti dell’anno per la promozione del made in Italy nel campo agroalimentare, inevitabilmente anche una passerella politica, fatta spesso da politici che non conoscono la realtà americana che è molto più articolata e complessa della narrazione più comune. Il lavoro dell’Ice, invece, dura dodici mesi ed è molto più accurato: «Uno dei compiti che ci attendono nel futuro è rilanciare il nostro vino che dagli ultimi dati ha segnato una contrazione dell’otto e mezzo per cento. Un valore che va recuperato, ma che, va riconosciuto, è anche legato a una crisi più vasta del consumo di vino negli Stati Uniti. I motivi sono diversi, ma quello salutare è significativo. Qualunque eccesso è dannoso per la salute, e credo che sia indispensabile insistere sul consumo consapevole e sul vino come accompagnamento per il cibo».
Tra gli strumenti per promuovere la conoscenza dei prodotti italiani l’Ice organizza delle master class come strumento di formazione per far conoscere il territorio, le differenze regionali e come nasce un prodotto gastronomico di qualità. Iniziative rivolte sia ai consumatori che agli opinion leader. «La promozione oggi deve essere il più possibile integrata, non solo legata al dire quanto è buona la mozzarella. Cibo, turismo, design, arredamento devono interagire nel racconto dell’Italia. Far conoscere la cura e la bellezza di uno stile di vita. Senza dimenticare che il cibo buono è anche sano, oggi un tema caro anche ai consumatori americani».
Tra i compiti istituzionali dell’Istituto c’è anche fornire aiuto a chi vuole aprirsi al mercato degli Stati Uniti, sul sito si possono trovare tutte le informazioni necessarie. La conclusione di un anno di lavori si celebra a novembre con la “Settimana della cucina italiana nel mondo” che qui a New York, rispetto a quello che si vede in altri Paesi, recentemente è sembrata un po’ sottotono: «Io non posso giudicare il passato» conclude la chiacchierata la dottoressa Di Giovancarlo «ma quest’anno vi stupiremo».