Finanza amaraL’impennata del prezzo del cacao è più complicata dell’aumento del costo del vostro uovo di Pasqua

I futures con consegna a maggio hanno ormai superato i diecimila dollari a tonnellata. Ma non conta solo la scarsità dell’offerta dovuta ai cattivi raccolti delle fave in Africa occidentale. I record delle ultime settimane hanno più a che fare con fattori finanziari

(Pixabay)

Tutti parlano di Nvidia. Ma la storia finanziaria più calda del 2024 potrebbe essere quella della materia prima più richiesta nei giorni che precedono la Pasqua: il cacao. Il prezzo delle fave con cui si produce il cioccolato continua a macinare record su record, con i futures con consegna a maggio che a New York hanno ormai superato i diecimila dollari a tonnellata.

Dopo i danni subiti dalle piantagioni dei grandi Paesi produttori dell’Africa occidentale per il passaggio di El Niño, nell’ultimo anno i prezzi del cacao sono aumentati del 250 per cento. Le piogge irregolari, alternate a periodi di tempo caldo e secco, hanno provocato diverse malattie delle piante, decimando i raccolti. Virus come il Cocoa swollen shoot virus disease hanno contagiato centinaia di migliaia di piantagioni già di per sé vecchie, provocando il più grande deficit registrato nel mercato del cacao da più di sessant’anni.

I Paesi dove i danni sono stati maggiori sono la Costa d’Avorio e il Ghana, rispettivamente primo e secondo produttore al mondo, che insieme forniscono il 70 per cento dei semi di cacao in circolazione a livello globale. I coltivatori della Costa d’Avorio, da ottobre a marzo, hanno spedito solo 1,28 milioni di tonnellate verso i porti, vale a dire il 28 per cento in meno dello stesso periodo dello scorso anno. E a gennaio l’ente regolatore del cacao ivoriano ha bloccato le vendite a termine finché non saranno chiari i numeri della reale produzione. Mentre in Ghana il Cocoa Board ha fatto sapere che il raccolto di cacao per il 2023-24 potrebbe essere di sole 425 milioni di tonnellate, la metà delle previsioni iniziali.

Da qui è partito il rally della materia prima in borsa, che però ormai è fuori controllo. E non solo per la scarsità dell’offerta. Come ha scritto su Bloomberg Javier Blas, c’è un momento in ogni aumento sostenuto delle materie prime in cui i fondamentali – domanda, offerta e scorte – non contano più. Il costo smette di essere un prezzo e diventa solo un numero. E questo momento è arrivato anche per il cacao.

A febbraio, i futures del cacao si aggiravano intorno ai seimila dollari per tonnellata dai 2.500 dollari dell’anno prima. Da allora, i prezzi sono schizzati in alto, stabilendo nuovi massimi quasi ogni giorno. Certo, il deficit del cacao è enorme: dopo tre anni consecutivi di scarsità, si preannuncia ora anche un quarto anno magro in arrivo. Ma le ultime settimane di record giornalieri hanno più a che fare con fattori finanziari.

Il rialzo dei prezzi, anzitutto, ha portato gli hedge fund, i fondi speculativi, a investire oltre 8 miliardi di dollari sui mercati di New York e Londra per assicurarsi i contratti futures del cacao, che sono quei contratti che li impegnano a comprare la materia prima in futuro a un prezzo prefissato più elevato di quello pagato al momento dell’acquisto. Sono derivati che servono alle aziende per coprirsi dal rischio e garantirsi l’approvvigionamento della materia prima, ma possono anche spingere a infiammare ulteriormente un mercato che già vive uno squilibrio tra domanda e offerta. E così è accaduto. 

Alcuni trader di cacao hanno venduto futures per un valore superiore a quello che detengono in prodotti reali. Il fallimento dei raccolti, però, ha ridotto le consegne, con i commercianti che si sono assicurati meno fave e prodotti semilavorati rispetto a quanto originariamente concordato. Gli impianti di lavorazione del cacao nella Costa d’Avorio e in Ghana hanno addirittura smesso di funzionare a causa della mancanza di approvvigionamento. Il che sta costringendo i trader a riacquistare i futures a prezzi gonfiati. E quando i trader riacquistano le loro posizioni, spingono ulteriormente i prezzi verso l’alto, creando a cascata lo stesso problema per altri. In pratica, un circolo vizioso che si autoalimenta.

A questo si aggiunge che i trader che possiedono scorte di fave di cacao o prodotti semilavorati hanno continuato ad avere posizioni corte, quindi scommettendo sul ribasso dei prezzi. In un mercato in crescita, le perdite sulle posizioni corte di solito sono coperte dai guadagni sulla materia prima. Ma queste aziende hanno comunque bisogno di liquidità per far fronte alle perdite sui derivati. Di solito, si utilizzano le riserve di cassa o prendendo in prestito piccole somme di denaro. Ma in una corsa al rialzo così prolungata, come quella che sta travolgendo il cacao, le perdite sono aumentate a dismisura. In questo scenario, quindi, l’unica opzione è chiudere le posizioni corte a qualunque prezzo richiesto dal mercato, contribuendo così ad alimentare il rally dei prezzi.

Quello del cacao è un mercato dominato da pochi grandi operatori – tra cui Ecom Agrondustrial, Touton, Barry Callebaut, Cargill, Olam – e da una miriade di società di piccole dimensioni che potrebbero ora avere difficoltà a garantire il credito in situazioni di emergenza.

Anche perché c’è il rischio che la produzione di cacao possa peggiorare. Le nuove norme dell’Unione europea per impedire la vendita di prodotti che distruggono le foreste potrebbero rendere ancora più difficile per i produttori garantire le forniture. Altri Paesi, come il Brasile e l’Ecuador, stanno cercando di aumentare la produzione, ma ci vorranno alcuni anni prima che gli alberi di cacao appena piantati producano i semi.

E il boom dei prezzi del cacao non andrà per il momento a beneficio degli agricoltori ghanesi o ivoriani, che stanno vendendo i loro raccolti ancora ai prezzi stabiliti dodici-diciotto mesi fa. I coltivatori ghanesi ricevono fra 1.800 e 1.900 dollari a tonnellata, gli ivoriani circa 1.600 dollari.

Proprio a causa dei prezzi bassi, il cacao – a differenza di altre materie prime agricole – non ha mai sviluppato piantagioni industriali, perché non sarebbe stato conveniente. Il grosso dei profitti è sempre andato a chi lavora le fave per trasformarle in cioccolato, non a chi le coltiva. Ma la filiera, che ha compresso i prezzi nella prima parte della catena, ora non regge più. 

Le fabbriche di cioccolato quest’anno dovranno raschiare il fondo di tutte le loro scorte in magazzino e non riusciranno a rimpiazzarle con facilità. Nei Paesi dell’Africa occidentale le piante di cacao sono relativamente vecchie e dovranno essere sostituite. E la mancanza di piogge che si è registrata tra aprile e ottobre potrebbe portare a chicchi di dimensioni e qualità inferiori alla media, limitando ulteriormente l’offerta di cacao in futuro.

Secondo le previsioni dell’Organizzazione internazionale del cacao, il rapporto tra scorte e macinazione scenderà al livello più basso degli ultimi quarant’anni, alimentando ancora il rialzo del prezzo. Una fiammata che comincia a vedersi anche sui prezzi del cioccolato per i consumatori finali. I listini in Italia sono saliti in media del 24 per cento, dopo il +15,4 per cento fatto registrare nel 2023.

Ma una volta che i prezzi non sono più legati all’incrocio tra domanda e offerta, è quasi impossibile fermare il mercato rialzista. L’impennata del prezzo cacao è “un filino” più complicata dell’aumento del costo del vostro uovo di Pasqua.

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