LadylikeLa politica riformista e femminista di Alessandra Moretti

L’eurodeputata del Partito democratico nel libro autobiografico “La vita rivoluzionaria di una donna comune” (Baldini+Castoldi) racconta la sua storia lanciando un appello alle nuove generazioni: «Abbattete i muri di millenni di storia che ci hanno sempre oppresso»

LaPresse

«Siate testarde e persistenti nell’affermazione dei vostri diritti. Siate rivoluzionarie nel perseguire le vostre ambizioni. Siate partigiane sempre nello schierarvi dalla parte della giustizia sociale. Perché dalla vostra forza dipende la qualità della nostra democrazia. Non date per scontate le conquiste ottenute grazie alle lotte e ai sacrifici di chi è venuta prima di voi. Custodite e difendete con le unghie e con i denti il progresso ottenuto negli anni. E fatelo sempre con il sorriso. Ribellatevi».

È con questo inequivocabile messaggio che si chiude il libro autobiografico dell’eurodeputata Alessandra Moretti “La vita rivoluzionaria di un donna comune” (Baldini+Castoldi) che tanti avversari esterni e interni al suo partito hanno soprannominato in modo sprezzante Ladylike. e lei per spiazzarli ne ha fatto un motto, quasi un brand della sua attività politica (dimostrando di essere anticonformista e non proprio comune). Ossia una determinata invocazione rivolta alle donne per incoraggiarle a essere autonome, autodeterminate, senza paura di piacersi e piacere, fare una rivoluzione culturale femminile e femminista, anche sui tacchi a spillo che all’occorrenza possono essere usati (letteralmente) come arma.

Alessandra Moretti, La Ale per gli amici, ha scritto un’autobiografia politica e sentimentale per parlare della sua vita, spesso in salita, nella politica dominata dai maschi e combattere il patriarcato in nome della sorellanza, anche internazionale. Lei, che fra le altre cose è membro della commissione Esteri del Parlamento europeo, ha salvato diverse donne afghane dopo la caduta di Kabul, solidarizzato con il movimento iraniano “Donna, vita e libertà” e soprattutto non ha avuto timore di esprimere l’orrore davanti agli stupri di massa avvenuti durante il pogrom del 7 ottobre nel sud di Israele.

E non perché non voglia il cessate il fuoco a Gaza, anzi, ma perché è semplicemente una donna che si considera femminista senza se e senza per cui i diritti delle donne sono valori non negoziabili, indipendentemente da chi li violi. «Nei conflitti, sono centosettantuno nel mondo, gli stupri sono un’arma di annientamento determinate perché le donne rappresentano il futuro. Il 7 ottobre Hamas ha fatto questo, usando lo stupro come forma di annientamento. Davanti alla violenza sulle donne, non ci possono essere giustificazioni. Su questo argomento le donne e le femministe devono essere unite. Su certe battaglie, come lo stato di diritto, il corpo delle donne, non si tratta e non si può essere ambigui».

E infatti nel suo libro uscito pochi giorni fa in libreria, racconta come da figlia di insegnanti in una terra di paroncini e ricchi imprenditori ha costruito mattone dopo mattone la sua emancipazione. Prima con uno studio legale aperto con una sua amica, poi come vicesindaca, parlamentare, sfidante di Luca Zaia quando Matteo Renzi le chiese di tentare l’impossibile e infine l’approdo nuovamente al Parlamento europeo.

Prima firmataria della legge sul divorzio breve, al Parlamento europeo si è battuta per la medicina di genere. E ladylike è diventata un’icona del femminismo riformista. Nel libro, tono leggiadro, tanti sassolini tolti dalle scarpe tacco dodici, parla della sua vita personale, della vita di una madre single e separata, dell’amore per i figli, della staffetta fra generazioni di donne, ma soprattutto della sorellanza, italiana, internazionale, delle donne “comuni” che come lei fanno cose rivoluzionarie perché cercano di migliorare la propria vita e altrui nella quotidianità. «Io credo molto nell’alleanza femminile necessaria a combattere il patriarcato di cui tutti i partiti sono intrisi, Pd compreso. In politica, una donna spesso deve sempre stare dietro un uomo, chi emerge è scomoda. E dobbiamo riconoscere alla Schlein di avere un ruolo determinate su questo aspetto perché deve combattere i pregiudizi di chi vuole le donne nell’angolo».

In “Vita Rivoluzionaria di una donna comune”, La Ale parla tanto della tempesta di odio e il fango subito sui social. «Penso di essere di essere la politica che ha subito più attacchi di odio proprio perché affronto temi divisivi legati all’autodeterminazione delle donne che vanno a colpire le coordinate del patriarcato (hanno anche minacciato di sfregiarla con l’acido). In Regione Veneto ho fatto una battaglia per introdurre l’obbligo dei vaccini, che erano stati sospesi, e sono diventata il target delle mamme no vax che già allora prima del Covid erano feroci, così come è accaduto anche per la mia richiesta di un reddito per le vittime della violenza, o sul divorzio breve. Ogni volta che ho fatto qualcosa di concreto per ridurre il potere maschile, sono diventata un bersaglio. Anche quando ho parlato del tema della libertà delle donne straniere, ho scatenato tanto odio». 

Fra gli aneddoti, racconta della sua parentesi renziana («Non dimentichiamoci che ha portato il Pd oltre il quaranta per cento», spiega a Linkiesta) ma soprattutto parla di come qualunque donna comune possa essere rivoluzionaria. Un libro, il suo, che vuole essere un appello alle nuove generazioni, alle ragazze come sua figlia Margherita («ha quindici anni ed è più avanti di me», ride ma non scherza) ad abbattere i muri di millenni di storia che ci hanno sempre oppresso, e soprattutto a essere ribelli, attraverso la nostra marcia in più, e cioè la capacità di negoziato, di trovare le soluzioni.

Senza dimenticare mai però chi ci ha permesso di essere qui. «Se ho potuto far approvare il divorzio breve è perché qualcuno ha lottato per il divorzio. E ora io sento l’urgenza di aiutare le donne di altre culture, come le afghane, a emanciparsi ma anche per incoraggiarle a liberarsi attraverso l’indipendenza economica senza la quale non ci si può ribellare contro la cultura patriarcale». Ma allora anche Renzi fu maschilista come gli ha rimproverato nel 2012? «Come tutti gli uomini», replica con ironia «ma nel 2014 ebbe l’intuizione di mettere cinque donne capolista alle Europee così come ha fatto i governo con più donne ministre e va ricordato».

Non rimpiange di aver usato il termine ladylike. «Lo rivendico, è un concetto anglosassone che non ho inventato io, ma femministe come Hillary Clinton o Alexandria Cortez e serve a rivendicare un approccio diverso alla politica conflittuale e bellica degli uomini. Inoltre mi permette di dare un calcio coi tacchi a tutti quelli che vorrebbero tenere le donne in un angolo». “La vita rivoluzionaria di una donna comune” (con prefazione di un’altra donna, come lei non proprio comune, Gaia Tortora) è un testo leggiadro a tratti duro, di una politica che ha una visione riformista e femminista senza se e senza ma.  

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