Sottolineiamo l’ovvio: nel 2023 la Corea del Sud non è più un gambero sul punto di farsi fagocitare dalle balene. Ci sono naturalmente sudcoreani che continuano a credere di essere in balia degli Stati Uniti, della Cina, della rivalità fra le due o di qualche altra forza esterna. Ma un Paese che, mentre scrivo, è una democrazia consolidata, ha la decima economia del mondo, il sesto esercito più potente, è all’undicesimo posto per soft power, al primo, in Asia, per libertà di stampa, siede al G20 ed è stato invitato al G7, non è un pesciolino.
Decine di altri Stati nel mondo vorrebbero essere come questo gambero. Certamente sono decenni che la Corea del Sud confeziona per sé un percorso su misura. L’economia continua a dipendere fortemente dal commercio. Ma questo perché, grazie alla spinta all’innovazione che li caratterizza, chaebol e Pmi forniscono merci e servizi richiesti in tutto il pianeta. E la tendenza è destinata a proseguire in futuro, perché il Paese è uno di quelli che più investono in ricerca e sviluppo, e la popolazione è fra le prime a adottare le nuove tecnologie.
Dunque che si tratti del 6G, dell’AI, dei veicoli elettrici o a idrogeno, dei computer quantistici o dell’automazione, ci sarà sempre un’azienda sudcoreana a fare da apripista. E questa azienda potrebbe essere Samsung o Hyundai, ma anche la prossima Celltrion o la prossima Nexon lanciata da un qualche giovane imprenditore di Gangnam o Daejeon. Semmai, si può dire che Seoul continuerà a rappresentare un modello e a finanziare la crescita economica altrui.
Desiderosi di frequentare le università sudcoreane, o la scuola di politiche pubbliche del Korea Development Institute – il primo think tank economico dell’Asia –, i politologi e gli specialisti dello sviluppo confluiranno ancora da America Latina, Sudest asiatico e Africa subsahariana, per scoprire come abbia fatto il Paese a passare dalla miseria alla prosperità in un lasso di tempo così breve.
La Koica – l’agenzia sudcoreana per lo sviluppo internazionale – continuerà a fornire aiuti e a supportare lo sviluppo sociale e la costruzione di infrastrutture nelle regioni meno sviluppate. Del resto, la Corea del Sud è stata la prima beneficiaria degli aiuti a passare dall’altra parte della barricata, diventando a sua volta donatrice. E questo è un motivo di orgoglio che continuerà ad alimentarne la generosità negli anni a venire. Ma Seoul rappresenta un modello anche per le nazioni sviluppate. Ha evitato la contrazione economica durante la crisi finanziaria – e sono solo due i membri Ocse a esserci riusciti. Ha sofferto la recessione come risultato dell’epidemia di Covid-19, ma nessun altro Paese sviluppato ha incassato il colpo altrettanto bene.
È stata ampiamente lodata per aver registrato, grazie alla competenza del governo e del sistema sanitario, un bilancio di vittime nettamente inferiore a quelli europei e statunitense. Se ne parla meno, ma anche in quanto a trasparenza digitale – per la quale è in testa nell’Ocse – ha tanto da insegnare ai governi più reticenti.
Insomma, la Corea del Sud continuerà senz’altro a mantenere la sua posizione tra le nazioni più competenti e aperte del mondo. Saranno i cittadini a garantirlo, come fanno da decenni. E non trascuriamo un aspetto cruciale, che sottolinea il vero collocamento del Paese negli equilibri geopolitici del pianeta: sono decenni che non si parla più della «competizione» tra le due Coree.
Il Nord, tristemente, ci ricorda quello che poteva diventare la Corea del Sud: una nazione impoverita, autoritaria, con pochissimi amici – o forse nessuno – e una popolazione che spera con tutte le sue forze in un futuro migliore. E sarà pure un esercizio ozioso, considerato che i due giocano in campionati diversi, ma paragonare Nord e Sud serve a rimarcare che se c’è una Corea che può temere di essere un gambero è quella al di sopra del trentottesimo parallelo. Se mai ci sarà una completa riunificazione, è evidente che a dettare le condizioni sarà la Corea del Sud.
Tratto da “Da gambero a balena” (Add Editore), di Ramon Pacheco Pardo, pp. 304, € 19