Insicurezza alimentareCosa mangia chi non ha cibo

Prima il Covid, poi le guerre, hanno portato quasi tre miliardi di persone nel mondo a non avere sufficiente cibo. «Abbiamo di fronte una sfida enorme«, ha detto Maurizio Martina, vice presidente della Fao. Ne hanno discusso i giornalisti Sara Porro e Maurizio Licordari

«Stiamo vivendo un periodo complicato dal punto di vista della sicurezza alimentare». Lo ha detto Maurizio Martina, vicepresidente della Fao, in apertura dell’ultimo talk del secondo giorno di Disquisito dal titolo “Cosa mangia chi non ha cibo?”. Prima il Covid, poi le guerre, hanno portato quasi tre miliardi di persone nel mondo a non avere sufficiente cibo. «Abbiamo di fronte una sfida enorme: da qui al 2030, anno di riferimento dell’agenda Onu per gli obiettivi di sostenibilità, abbiamo target che si appaiono ancora molto lontani. Nel 2030 avremo ancora 600 milioni di persone alle prese con la sfida della fame».

Maurizio Licordari, giornalista Rai che ha realizzato molte inchieste sulla questione alimentare, ha spiegato che il problema della malnutrizione non riguarda solo i Paesi più poveri. «Il problema è molto più vicino a noi di quanto si possa immaginare. In Italia esistono oltre 5 milioni che vivono in condizioni di povertà», ha spiegato. «Di cui più di tre milioni che hanno difficoltà a reperire anche un singolo pasto e molti sono bambini». Un numero esploso con la pandemia, quando molti hanno perso il lavoro e le persone che hanno chiesto accesso alle mense alimentari sono aumentate a dismisura.

La giornalista Sarra Porro ha ideato “Cuochi ma buoni”, un gruppo di appassionati di cucina che organizzano a Milano eventi per raccogliere fondi destinati al 100 per cento ad associazioni benefiche per combattere l’insicurezza alimentare. «Il classico approccio del pacco alimentare non dà la possibilità di scegliere, né tiene contro delle esigenze alimentari», ha spiegato Sara Porro. «Mantenere una componente di dignità nell’aiutare l’altro invece è fondamentale. Un altro approccio oggi, ad esempio, è quello di dare una card che la persona può usare per comprare quello che vuole».

Una domanda che bisognerebbe porsi anche e soprattutto con i migranti che arrivano sulle nostre coste, spesso con problemi di malnutrizione e denutrizione. «Saper ascoltare chi ha bisogno è fondamentale», ha detto Licordari. «Nelle donazioni standard, nei classici pacchetti, il 23 per cento è latte, il 9 per cento pasta, l’8 per cento legumi. Ma bisogna capire a chi è destinata questa busta standard».

Una variabile che incide in maniera decisiva, poi, è la diffidenza di chi fa le donazioni, che spesso preferisce comprare cibo anziché donare denaro. «La soluzione è guardare i bilanci delle onlus a cui ci si rivolge e che si decide di sostenere», ha detto Sara Porro. «Il segreto è che si può fare molto partendo anche da una scala piccola. Abbandoniamo l’idea di avere un impatto di chissà quale grandezza, ma avere fiducia che anche con poche risorse si può fare tanto».

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