Sottobosco sperimentaleLa playlist musicale perfetta secondo Deer Waves

Nato come blog nel 2012, adesso è una pagina su Instagram e ha anche un podcast, “Poi migliora”: «Volevamo proporre un’alternativa ai titoloni che parlavano solo di band gigantesche, mantenendo sempre un equilibrio tra artisti di nicchia e grandi nomi», ci racconta Andrea Pelizzardi

courtesy of Deer Waves

Deer Waves nasce come blog musicale a inizio 2012 da un gruppo di persone provenienti da tutta Italia, le quali – dopo essersi conosciute ai concerti – condividevano una grande passione per la musica. Il progetto cercava di porsi come un’alternativa ai colossi dell’informazione musicale italiana, arrivando a creare negli anni una forte fanbase di appassionate e appassionati di musica alla ricerca di qualcosa di diverso. La fine degli anni Dieci segna l’inizio della seconda vita del progetto: dal classico blog è diventato una pagina Instagram dove editoriali e articoli sono stati tradotti in post, video e altri contenuti fruibili sulle nuove piattaforme. Qui vengono proposti artisti nuovi da seguire, dischi da ascoltare e tendenze da approfondire, parlando dei cambiamenti nel mondo della musica con un taglio leggero, divertente e con una comunicazione accessibile. Nel maggio 2022 nasce il podcast “Poi migliora”, dove vengono approfondite diverse tematiche che si intrecciano con il mondo della musica, anche con l’intervento di ospiti di rilievo.

Deer Waves è nato un po’ come alternativa ai mezzi d’informazione mainstream…
«Noi non volevamo essere un’alternativa solo nei contenuti, ma soprattutto nel modo di comunicare: cercavamo di prendere la musica un po’ meno sul serio a livello di linguaggio. Molto spesso sembrava che i giornalisti musicali fossero un’élite, gli unici a potersi esprimere in un certo modo. Volevamo proporre un’alternativa ai titoloni che parlavano solo di band gigantesche, quando invece c’era un sottobosco da scoprire, fatto di sottoculture e cose che meritavano di essere approfondite».

Per voi di Deer Waves che cos’è il ritmo? Che ruolo ha nella vostra ricerca di ascolti musicali?
«Quando si pensa al ritmo si pensa alla canzone che ti fa battere il piede, a quella che ti fa ballare o che ti fa muovere, e basta. Però non è solo quello: una canzone che non fa ballare può avere il suo ritmo, si tratta di una ripetizione continua, qualcosa che poi ti rimane in testa e che caratterizza l’andamento dell’intero brano».

Nella playlist “Ritmo” c’è molta elettronica, ma anche musica sperimentale. Penso a PRADA, dell’artista venezuelana Arca.
«Ad oggi vediamo sempre meno sperimentazione. Le strutture delle canzoni sono molto ripetitive perché tendono ad adattarsi alle piattaforme: devono funzionare effettivamente su Spotify o su Tik Tok. Da Blinding Lights – che è tra le canzoni più famose degli ultimi cinque anni –, fino ad arrivare alla canzone di artisti più di nicchia che però vogliono farsi conoscere, al di là del solito schema strofa-ritornello-strofa-ritornello delle canzoni pop, sono molto ripetitive. Arca è una delle artiste che ha sperimentato di più e che al contempo è riuscita a diventare pop. I suoi primi EP del 2012 erano esperimenti veramente assurdi e fuori dal normale: lì davvero non c’era una struttura, non c’era un ritmo; c’erano solo dei suoni quasi “alieni” che si intrecciavano. Erano cose mai sentite. Con il tempo ha virato su un tipo di musica più orecchiabile, nonostante ci siano comunque delle canzoni molto pesanti nel suo repertorio. C’è stata una fase tra il 2020 e il 2021 in cui ha fatto quattro dischi molto più “reggaeton” dove ci sono tanti ritmi classici della musica latina, ma anche i testi, che prima non esistevano perché c’erano solo delle voci sintetizzati. Dal 2010 è la persona che più ha sperimentato e che più è riuscita a diventare pop è sicuramente lei, partendo da suoni quasi cacofonici è riuscita a diventare la produttrice di Madonna, Kanye West, Björk, Charli XCX , ha collaborato con Rosalia. Sicuramente è l’esempio da prendere da qualsiasi punto di vista: a livello musicale, di produzione, di sperimentazione e soprattutto di innovazione: non si era mai sentito nulla del genere».

Secondo voi il ritmo contribuisce in qualche modo a far arrivare il messaggio all’ascoltatore?
«Parlando di Arca non pensiamo che sia una scelta fatta con l’obiettivo di arrivare a un pubblico più ampio. Lei è venezuelana e nella sua musica c’è sicuramente una grande parte di eredità culturale. Anche se non avesse usato questi suoni più reggaeton si sarebbe comunque fatta notare nella scena musicale. Sicuramente questo l’ha aiutata ad arrivare a un pubblico più ampio perché i suoi primi lavori erano molto difficili da ascoltare, soprattutto per persone che ascoltano la musica che va in radio o qualcosa di più mainstream. I suoi ultimi album, che sono un po’ più pop-oriented sicuramente riescono a essere apprezzati anche da un pubblico più ampio, però non crediamo sia una scelta intenzionale».

Parlando della playlist “Ritmo”, come avete scelto i brani?
È composta da dieci brani selezionati da tutta la redazione che è formata da otto persone, ognuna con sensibilità diverse. Ognuno ha scelto almeno un brano. Non c’è un vero fil rouge che li unisce, siamo semplicemente partiti dalla domanda “a quale canzone pensi quando pensi al ritmo?”. Abbiamo scelto i pezzi in base ai nostri ascolti, alle cose che ci piacciono, agli artisti che spingiamo e che proviamo a supportare e che vogliamo che la gente scopra. Al di là di mettere Moby, Thundercat, Anderson Paak e Arca – che nella bolla della musica alternativa e di nicchia sono abbastanza conosciuti – ci sono anche artisti che non si sono mai sentiti, ma di cui noi abbiamo sempre parlato e che abbiamo provato un po’ a spingere. Deer Waves x ritmo è un mix che comprende una selezioni di capisaldi musicali, affiancati ad artisti emergenti. È la nostra interpretazione pura di ritmo. Solo a playlist completata ci siamo resi conto di aver selezionato brani che sconfinano su tutto il globo: si spazia dal Giappone con “Somewhere Near Marseilles” di Hiraku Utada, si passa dal Niger con i Mdou Moctar e con gli Ibibio Sound Machine che hanno origini nigeriane ma sono nati a Londra; c’è Arca, che è venezuelana e ci sono poi i Khruangbin, che sono americani con una forte passione per la musica mediorientale, che traspare molto dalle loro canzoni.

Gli ingredienti per la playlist perfetta?
Come ci ha insegnato Spotify con le Discovery weekly proporre playlist che contengono esclusivamente musica nuova non funziona: le persone non le ascoltano. Quando invece la piattaforma ha iniziato ad alternare, affiancando brani più conosciuti ad altri più di nicchia, il trend è cambiato: la gente ora praticamente vive su Discovery weekly e soprattutto sui Daily mix. Bisogna sempre proporre anche qualcosa di conosciuto, senza però arrivare agli estremi: non selezionare solo canzoni banalissime o molto mainstream, come per esempio quelle dei Daft Punk, Fred again.. o dei Justice, perché così non si fa scoprire niente di nuovo. Bisogna invece affiancare a cose che più o meno si conoscono brani più sconosciuti, come per esempio possono essere i Mdou Moctar. A meno che non si segua Deer Waves o altre testate che parlano di musica un po’ più di nicchia, difficilmente vengono conosciuti.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter