Il Def dei misteriLe previsioni economiche (a metà) in consiglio dei ministri

Il governo dovrebbe limitarsi a pubblicare nel suo Documento di economia e finanza solo i dati di tendenza dei conti pubblici, non le politiche programmatiche con gli obiettivi. Un modo per prendere tempo, in vista delle elezioni europee e l’inevitabile trattativa con Bruxelles per fare nuovo deficit

(La Presse)

Un Def «asciutto», come lo definiscono fonti di governo. Se il consiglio dei ministri conferma oggi la scelta di limitarsi a pubblicare nel suo Documento di economia e finanza solo i dati di tendenza dei conti pubblici, non le politiche programmatiche con gli obiettivi, seguirebbe l’esempio di solo altri due esecutivi in Italia da quando esistono l’euro e il patto di Stabilità: quelli di Paolo Gentiloni nell’aprile del 2018 e di Mario Draghi nel settembre del 2022. In quei due casi si trattava però di governi dimissionari, dopo elezioni che avevano del tutto cambiato il quadro politico. In questo caso, abbiamo un governo saldamente in sella con tre anni e mezzo di vita davanti.

Ecco perché l’ipotesi fa fibrillare l’opposizione, sulle barricate contro un governo definito «irresponsabile». Per il governo presentare un documento «snello e assai asciutto» è l’unica scelta possibile, perché le nuove regole del patto di Stabilità Ue impongono, come dicono a Palazzo Chigi, «nuove tempistiche». Per le opposizioni invece la mossa di Giorgetti e Meloni di rendere note le cifre tendenziali dei conti pubblici, rinviando il quadro programmatico, è un «bluff» che preluderebbe a una manovra economica di «tagli e sacrifici».

Il Def «asciutto» è anche un modo per prendere tempo, aspettare le elezioni europee per avviare una trattativa con la Commissione sull’extradeficit, e non svelare il pasticcio sui conti. A pochi giorni dall’esame delle agenzie di rating sull’affidabilità dell’Italia, può essere un boomerang.

Il governo arriva alla giornata di oggi con la zavorra del Superbonus, già costato allo Stato 122 miliardi. «Una eredità pesantissima per i conti pubblici e quindi per tutti gli italiani», dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che però esclude per ora l’ipotesi di aggiustamenti in corsa: «Una manovra correttiva? No. Vogliamo rispettare esattamente gli obiettivi della Nadef presentata in autunno, per una questione di credibilità». Ma poi aggiunge: «Se c’è qualcosa da correggere la correggeremo, ma sostanzialmente siamo in linea».

Dalle stime del sottosegretario Federico Freni, il debito è in aumento rispetto al 137,3 per cento del 2023, ma dovrebbe restare sotto il 140 per cento. La crescita dovrebbe avvicinarsi all’1 per cento, in ribasso rispetto alle previsioni autunnali dell’1,2 per cento. Il Def conterrebbe quindi andamenti in parte simili a quelli della Nadef di sei mesi fa.

A quel punto bisognerà capire come reagiranno gli osservatori nelle altre capitali europee e nei mercati inizierebbero a chiedersi come leggere le serie di numeri pubblicate ufficialmente a Roma – commenta Federico Fubini sul Corriere.

A legislazione immutata rispetto a quella oggi in vigore, sulla base di quanto indicato nella Nadef di settembre scorso, il deficit sarebbe al 4,3 per cento del prodotto interno lordo (Pil) quest’anno, al 3,4 per cento il prossimo e al 3,1 per cento nel 2026.

Ma cosa implica un dato di bilancio a legislazione invariata oggi in Italia? La legge di bilancio attualmente in vigore per il 2024, dunque il dato di deficit per quest’anno, contiene infatti dei provvedimenti che sul piano legale terminano a fine anno: il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro; l’accorpamento dei due scaglioni più bassi dell’Imposta sulle persone fisiche; la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività; la riduzione del costo del canone Rai di venti euro all’anno; il differimento di sei mesi della plastic tax e della sugar tax; l’azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli; il credito d’imposta per gli investimenti per la Zona economica speciale del Mezzogiorno; il rifinanziamento della legge Sabatini per gli investimenti delle imprese. Tutte queste misure hanno coperture finanziarie e sono legalmente in vigore solo per quest’anno. A legislazione invariata, l’impatto sul deficit di questa famiglia di «una tantum» sparisce a partire dal 2025.

Un Def che pubblichi solo i dati tendenziali a legislazione invariata elimina così dal deficit e dal debito l’impatto di tutte le misure in vigore solo sul 2024. Eppure resta l’impegno politico del governo al rinnovo per il 2025. E Giuseppe Pisauro, l’ex presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, stima che quegli sgravi costino circa 19 miliardi: quasi l’uno per cento di deficit (e debito) in più in confronto al Pil.

Con il nuovo patto di Stabilità, il Piano fiscale-strutturale di medio termine va presentato entro il 30 aprile, ma poiché questo è un anno di transizione il piano dovrà arrivare alla commissione Ue entro il 20 settembre. Ed è in quel documento che il governo «fornirà tutti gli elementi utili alla costruzione della nuova manovra», dicono da Palazzo Chigi. Ed è in quel momento che inizierà l’inevitabile trattativa con la Commissione europea per chiedere maggior deficit.

E oggi in consiglio dei ministri arrivano anche le nuove regole sulle tasse di successione e sulle imposte di bollo.

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