Gli anni passano, il mondo della moda cambia. Soprattutto nel caso di un marchio come Dolce&Gabbana, sorto in un momento storico dove i codici, i riferimenti, i linguaggi, finanche le pose esistenziali erano radicalmente altre da quelle attuali. Dal 1984, anno di fondazione del duo, si ha la sensazione, seguendo le decine di campagne pubblicitarie, di collezioni, di progetti e di artisti visivi con i quali hanno collaborato si ha la sensazione di attraversare la fine del secolo e l’inizio del millennio quasi scorrendo una serie di diapositive.
L’opulenza, il femminile, il femminile iniziale inteso nelle sue forme arcaiche, materne, sensuali, mentre oggi le donne di Dolce&Gabbana si sono trasformate in ragazzine travolte dall’ardore dell’adolescenza, sono quasi regredite verrebbe da dire, invece di maturare sono ringiovanite, tornate indietro in un soffio vitale e l’Italia, i suoi scorci, gli arazzi, i dipinti, Roma, Napoli e Milano, le isole, l’estate, la dolce vita. Tutti questi elementi, sommati all’ossessione di D&G per la lavorazione artigianale rappresentano il tema, il fuoco di questa mostra a Palazzo Reale curata da Florence Müller, docente e autrice di fama internazionale, già direttrice dell’Union Française des Arts du Costume al Musée des Arts Décoratifs di Parigi e curatrice Moda e Arte Tessile al Denver Art Museum, inaugura il 7 aprile e sarà poi disponibile fino al 31 luglio.
Abbiamo intervistato Florence Müller, che insieme al Comune di Milano e la produzione di IMG, tra i leader globali dell’organizzazione di eventi, ha curato questo percorso espositivo in dieci sale, combinando diversi e inediti linguaggi visivi e culturali: la moda, sì, ma anche il balletto, l’Opera, l’arte, film come “Il Gattopardo”, le tradizioni siciliane, l’architettura, il mito e le divinità greche. Il barocco e l’alta sartoria. Una serie di opere d’arte digitale sono state realizzate appositamente da rinomati visual artist della scena contemporanea, che hanno fornito la loro interpretazione delle creazioni di Dolce&Gabbana. Felice Limosani, Obvious Art, Alberto Maria Colombo, Quayola, Vittorio Bonapace e Catelloo tra gli altri.
Dal cuore alle mani è il titolo della mostra dedicata a Dolce&Gabbana, come a voler lasciare intendere che il lavoro dei due designer ha una risonanza effettiva, pratica, ma anche e soprattutto emotiva. Potresti spiegare questo passaggio in modo più approfondito?
In sostanza, Dal cuore alle mani racchiude la natura olistica, emotiva e autentica del processo creativo di Dolce&Gabbana. Evidenzia la connessione personale tra le emozioni dei designer e i risultati tangibili della loro maestria, sottolineando l’impegno per la tradizione, l’innovazione e una connessione genuina con il loro pubblico. Riflette il rapporto simbiotico tra designer e artigiani e la loro passione comune nella ricerca della perfezione. Il titolo della mostra esprime anche il messaggio d’amore rivolto dai couturier non solo alle radici artistiche e culturali dei loro stili ma anche a coloro che indosseranno le loro creazioni.
Dolce&Gabbana debutta negli anni Novanta, in un mondo della moda che era già cambiato notevolmente e che stava per cambiare ancora. Quali erano i riferimenti di allora e in che modo furono tramandati alle generazioni successive?
Dolce&Gabbana è stata fondata a metà degli anni Ottanta e ha rapidamente ottenuto riconoscimenti per i suoi design audaci e sensuali che abbracciavano l’eredità italiana, l’artigianato e un sottile tocco di glamour. Direi che le influenze più forti sin dal suo inizio sono state il glamour, il suo impegno nell’onorare il patrimonio italiano, così come un forte senso di sensualità e un’audace estetica femminile, tutte cose che prevedo saranno portate avanti dalle generazioni future.
Scopo della mostra è rendere omaggio a ciò che è “fatto a mano”. In un’epoca storica sempre più delimitata dall’intelligenza artificiale e dagli automatismi tecnologici, che ruolo gioca la moda nel preservare l’artigianato?
La moda gioca un ruolo fondamentale nel preservare l’artigianato agendo come custode delle competenze tradizionali, promuovendo la creatività, umanizzando l’industria, preservando l’identità culturale, educando e ispirando e contribuendo a un mondo di bellezza e lusso. La moda diventa un potente alleato nel garantire che l’arte dell’artigianato continui a prosperare nonostante i progressi tecnologici. In un senso più generale, il fatto a mano permette di realizzare i progetti più creativi, al di fuori dei limiti pre-programmati dell’automazione. Anche gli strumenti industriali possono produrre solo l’oggetto per il quale la macchina è stata progettata. Nel processo industriale e con le macchine intelligenti i prodotti possono essere molto belli, ma alla fine troppo perfetti, senza anima, senza sorprese. Sono più prevedibili. A loro mancano i possibili errori e vagabondaggi della creazione provenienti dalla mano umana.
Hai lavorato come curatore di diverse mostre il cui focus era la moda, i suoi linguaggi e i suoi codici. Il marchio Dolce&Gabbana è stato un pioniere nell’attraversare le arti visive disparate ed estemporanee, dall’architettura alle tradizioni italiane, dal teatro alla musica, dall’opera al balletto. Come si intrecciano queste forme artistiche ed espressive?
L’approccio pionieristico di Dolce & Gabbana prevede un intreccio senza soluzione di continuità di arti visive disparate ed estemporanee. Unendo la moda con elementi di architettura, teatro, musica, opera, balletto, cinema e arti tradizionali, il marchio crea una narrativa ricca e multidimensionale. Questa interazione favorisce un dialogo dinamico e in evoluzione tra la moda e le varie espressioni artistiche, dimostrando l’impegno del marchio nel superare i confini e ridefinire il linguaggio della moda. Il design di Domenico Dolce e Stefano Gabbana è un veicolo per lasciarsi trasportare in un immaginario illimitato, nutrito da tutte le arti. Dà un ruolo centrale all’espressione della personalità di ogni persona. Con il loro desiderio di una vita quotidiana trascesa dall’arte, permettono agli individui di reinventarsi in modo eroico ed epico.
Potresti descrivere una mostra a cui hai lavorato e alla quale ti senti particolarmente legata?
Sono stata molto felice nel 2022 di poter curare una mostra su Joséphine Baker subito dopo che la sua memoria è stata onorata dal suo ingresso nel Pantheon delle grandi glorie di Francia. È stato meraviglioso poter evocare l’impresa artistica e politica di questo artista che simboleggiava l’essenza della modernità negli anni Venti e che fu un pioniere del movimento per i diritti civili.
Com’è stato partecipare a questo progetto?
È stata una meravigliosa opportunità per confrontare un lavoro di moda unico con la mia conoscenza e ammirazione per l’arte e la cultura italiana. Secondo me i due designer incarnano più pienamente l’anima italiana nel suo intreccio simbiotico tra arte alta e cultura popolare. Lo sviluppo di questo progetto si è svolto come un’epopea attraverso il vasto campo delle possibilità artistiche e la ricchezza delle storie intessute di seta e di sogni di Domenico Dolce e Stefano Gabbana.