Giovanni lavora nella redazione di un quotidiano. Sergio Fabiani, caposervizio della cultura, gli affida il compito di scrivere un pezzo su Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, linciato in modo selvaggio dalla folla nel settembre 1944.
Stefano Nazzi, con la sua voce diventata ormai nota con il podcast “Indagini”, ha dialogato con Walter Veltroni sul suo ultimo libro edito da Rizzoli, “La condanna”, nel corso del festival Disquisito al Mercato Centrale di Torino.
Un romanzo che racconta il lavoro di questo giovane giornalista per scoprire cosa era successo quel giorno tra il Palazzo di Giustizia, il Tevere e Regina Coeli. Proprio nelle ore del processo a Pietro Caruso, tra i responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. «Questa storia era stata completamente rimossa. Sono andato a fare il sopralluogo nel Palazzo di Giustizia, non c’è neanche una targhetta per ricordare il nome di Donato Carretta», ha raccontato Veltroni. Durante la presentazione, sono state mostrate le immagini dell’irruzione nel Palazzo di Giustizia mentre si celebrava il processo contro Pietro Caruso. A un certo punto compare Carretta, cominciano a picchiarlo, viene inseguito, finché finisce linciato e poi infine appeso a testa in giù sul muro di Regina Coeli.
Veltroni ha raccontato le pulsioni e la rabbia che agitano la folla di quel settembre 1944, nella Roma liberata dal fascismo e dall’occupazione nazista, tra gli strepiti e i livori di un’epoca complessa. «È una storia che mostra come certe malattie si possono far strada quando la folla e il popolo prendono il posto della giustizia», ha detto. «Quelle persone non sapevano neanche perché picchiavano Carretta. Roma da poco aveva scoperto le Fosse Ardeatine e via Tasso, dove i nazisti con la complicità dei fascisti torturavano gli antifascisti. C’era un sentimento popolare ferito».
«Sono convinto che da ferite come il fascismo e il nazismo si esca o con un grande processo come Norimberga o con quello che è accaduto in Sud Africa con i tribunali della riconciliazione. Noi non abbiamo fatto né l’uno né l’altro come ci sono sempre dei passaggi della storia che ci imbarazzano», ha detto Veltroni. «Se non sei antifascista non sei italiano: nella storia italiana non dichiararsi antifascisti significa non dichiararsi democratici».
Il rischio altrimenti è «tornare lì se non stiamo attenti», ha detto Veltroni. «Pensiamo a Putin che uccide i suoi oppositori, pensiamo alle cose che dice Trump in vista delle elezioni americane». «Dobbiamo introdurre degli elementi di sussulto democratico, fare una battaglia civile e politica contro i populismi. O dobbiamo aspettare che tutto ci appaia ineluttabile o che si possano trasformare in un “bagno di sangue” le elezioni di una grande Paese democratico come gli Stati Uniti?».