Per tenersi buono l’alleato, Elly Schlein non ha mai avuto una linea precisa sul Movimento 5 stelle. Ora che Giuseppe Conte se n’è ghiuto, lei continua a non avere una linea e non ha più nemmeno l’alleato. Meno male che ieri per la prima volta la segretaria gliene ha dette quattro. Ma sin qui è sembrata uno di quegli sfidanti un po’ scarsi di Cassius Clay che non riuscivano mai a prenderlo e si affannavano a mulinare le braccia mentre quello gli saltellava attorno fresco come una rosa.
È un peccato che la rottura tra Pd e M5s debba avvenire su una squallido acquisto di voti per cinquanta euro, un po’ di più del prezzo di una scarpa all’epoca di Achille Lauro a Napoli mezzo secolo fa, perché la rottura sarebbe dovuta avvenire per mano di Elly su cose un po’ più serie tipo l’Ucraina, e invece piomba come un fulmine su una vicenda da Al Capone dei poveri, con Triggiano al posto di Chicago.
Avrebbe dovuto rompere lei, la «testardamente unitaria» alias Elly, oggi umiliata e offesa perché lui se ne va sulla questione morale per colpa di una zaffata maleodorante che accarezza la giunta regionale di cui il M5s fa parte, e dunque siamo davanti all’ennesimo dribbling elettoralistico di Conte, altro che unitario, questo il Pd lo schiaccia come fa Jannik Sinner con i malcapitati rivali, gli fa marameo tutte le volte che può, prova a prendermi, gli dice, e quelli incassano come Bombolo, ha scritto Stefano Cappellini, una sberla via l’altra.
Certo, il personaggio ha con sé tutto l’armamentario che la mite Schlein – per fortuna – non possiede: la disinvoltura politica e morale di fare e disfare, dire e non dire, affermare e smentire, promettere e non mantenere, arraffare e fischiettare. Il M5s fa la verginella immacolata, non c’era e se c’era dormiva al suono del carillon delle manette già dipietriste e davighiane impastate con la buffoneria grillesco-dibattistiana, il tutto affluito nelle acque limacciose del «trasformismo di tipo meridionale», come lo ha definito Sabino Cassese, tipico dell’avvocato populista.
Eccoci dunque all’ultimo tango in Puglia, dove Conte è in giunta con Michele Emiliano, le due facce del peronismo pugliese che corre da Foggia a Bari con qualche macchia vendolian-comunista, malattia infantile del dalemismo da cui tutto nasce, passando per il tardodemocristianismo di Francesco Boccia da Bisceglie, Aldo Moro che pure qui aveva qualche magagna, riposi in pace ché nella sua Maglie c’è rimasto Raffaele Fitto.
Per tornare a noi, Conte da Volturara Appula si è scandalizzato per lo scandalo di Grumo Appula e di Triggiano e ha detto stop alle primarie per la scelta del sindaco di Bari ponendo così fine della piccola intesa con il Pd. È stato velocissimo, l’avvocato appulo, com’era stato rapidissimo a mettere il veto in Basilicata, come tante altre volte sempre alla Cassius Clay ha mandato a farfalle ha mandato a farfalle l’avversario-interlocutore. Il quale interlocutore da anni si macera sulla terrazza del Nazareno per capire se questo Conte ci fa o ci è e ancora un volta rimane intrappolato nei suoi machiavellismi di quartiere, con il redivivo Goffredo Bettini che si rianima quando Conte chiama e ora propone il contrario di quello che dice Schlein.
Lei tiene duro sul suo candidato Vito Leccese, Goffredo invece ne chiede il ritiro per inventarne un terzo che vada bene all’avvocato, che è come dire che ha ragione quest’ultimo a rompere. Tra le inchieste del commissario Piantedosi, i comizi sudamericani di Emiliano, questo penoso Triggianogate, la destra prova a passare come un aratro su un campo di patate puntando a «prendere Bari» come ha detto sbavando Maurizio Gasparri, mentre la città vorrebbe continuare sulla strada del sindaco uscente Antonio Decaro che molti nemici deve avere e l’avvocato populista è evidentemente tra questi. Adesso Elly Schlein non ha più alibi: lo lasci al suo destino, alle sue furbizie, al suo tatticismo senza idee ansioso di potere. E forse le cose andranno meglio, sulla terrazza del Nazareno.