Astenuti in Parlamento, ma favorevoli nel Consiglio. Questa la posizione dell’Italia riguardo alla riforma del Patto di stabilità approvata oggi all’unanimità a Lussemburgo in occasione della riunione del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura dei ventisette Paesi membri.
Solo sei giorni fa, il 23 aprile, i partiti della maggioranza (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) si erano astenuti durante la votazione del Parlamento europeo. In quella seduta, anche il Partito democratico si era astenuto, mentre il Movimento 5 stelle aveva votato contro. «Nessun altro Stato membro ha offerto uno spettacolo di così grande disimpegno – ha affermato l’ex presidente del Consiglio Mario Monti sul Corriere della Sera – Un messaggio chiaro, di sostanziale unità nazionale contro le regole di bilancio». Quel voto era stato visto come un gesto di sfiducia da parte del centrodestra al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) perché era stato lui, il 20 dicembre, durante il vertice fra i ministri delle finanze europei (Ecofin) a dare l’ok al testo della riforma.
Allarme che sembra rientrato con la votazione di oggi: il governo di Giorgia Meloni, rappresentato dal sottosegretario all’Agricoltura Luigi d’Eramo (Lega), ha detto “Sì” a tutti i punti del pacchetto. Solo il Belgio si è astenuto su un punto, quello del regolamento sul coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale, sul quale tuttavia non era necessaria l’unanimità.
Via libera dunque al nuovo Patto di stabilità che prevede alcune modifiche per riportare in ordine i conti degli Stati: chi ha un debito superiore al novanta per cento del Pil dovrà abbassare il passivo dell’uno per cento all’anno. Chi invece ha un indebitamento compreso tra il sessanta e il novanta per cento dovrà ridurre il passivo dello 0,5 per cento. Le regole precedenti erano considerate «troppo rigide» perché prevedevano l’aggiustamento di un ventesimo annuo della soglia di passivo al di sopra del sessanta per cento.
L’accordo è stato un compromesso fra i Paesi più rigidi, Germania in primis, e chi voleva maggiore flessibilità. L’Italia, in sede di dibattito, ha ottenuto due vittorie importanti: le spese sostenute per le riforme necessarie alla doppia transizione verde e digitale non saranno considerate penalizzanti nel momento in cui si valuta deficit e debito, si deve tener conto dell’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sul ripagamento dei rendimenti dei titoli di debito pubblico.
Gli Stati fuori dai parametri del Patto (debito pubblico oltre il sessanta per cento del Pil o deficit sopra il tre per cento del Pil) dovranno presentare dei piani strutturali nazionali di bilancio della durata di quattro anni, che dovranno indicare la via da seguire per sistemare i conti, entro il 20 settembre. «Adesso è il momento di una rapida attuazione – ha dichiarato Vincent van Peteghem, ministro delle Finanze belga e presidente di turno del consiglio Ecofin – le nuove regole salvaguarderanno finanze pubbliche equilibrate e sostenibili e aumenteranno l’attenzione sulle riforme strutturali».
Secondo il Financial Times online, sono undici, tra cui Italia, Francia e Belgio, i Paesi membri che avranno un deficit fuori dai nuovi parametri del Patto di stabilità. La procedura per deficit eccessivo sarà decisa dalla Commissione il 19 giugno prossimo e saranno sotto esame gli Stati con un rapporto deficit-Pil superiore al tre per cento.
Secondo il leader di Azione Carlo Calenda la riforma «andava fatta nella nuova legislazione europea e non in questa». Per il leader del M5s Giuseppe Conte invece il Governo «ha detto “Sì” a manovre di lacrime e sangue nei prossimi anni e a ulteriori tagli che saranno almeno di tredici se non di quindici miliardi di euro all’anno»