A margine del ricorrente dibattito sull’antifascismo rilanciato dal caso Scurati, si aggiunge oggi un particolare interessante per chi volesse studiare la parabola della destra post fascista e il suo mutevole rapporto col passato. Un particolare contenuto in questo surreale incipit dell’intervista data a Repubblica dal direttore editoriale del Secolo d’Italia:
Italo Bocchino, lei è antifascista?
«Sì, certo, ma non ho bisogno di dichiararlo»
Non lo esterna?
«Esatto».
Ai più attenti tra i lettori non sarà sfuggito che in realtà Bocchino lo ha appena fatto, trattandosi di uno scambio che non avviene nel corso di una telefonata riservata o in una corrispondenza cifrata, ma all’inizio di un’intervista. Comunque si giudichi il precetto bocchiniano del si fa ma non si dice applicato all’antifascismo – e chi l’ha fatto tace, lo nega e fa il mendace, e non ti dice mai la verità… si potrebbe aggiungere, sulle note di una vecchia canzone – la reazione è interessante proprio perché viene da lui, che è stato di fatto il numero due di Gianfranco Fini ai tempi della scissione dal Pdl e dell’effimera esperienza di Futuro e libertà. Cioè esattamente nel momento in cui il gruppo dirigente proveniente dal Movimento sociale (di cui lo stesso Fini era stato il leader indiscusso) aveva chiuso definitivamente, e con piena soddisfazione di tutti, ogni possibile conto rimasto in sospeso con il passato. Il problema è che Fratelli d’Italia non nasce in continuità con quella storia, ma per rinnegarla, o meglio, accusando implicitamente (ma a tratti anche esplicitamente) Fini di averla rinnegata. Nasce, insomma, per ricostruire artificiosamente una continuità, anzitutto simbolica, con la storia del Msi, assai più che con quella di Alleanza nazionale.
Il fatto che tutto questo rappresenti un problema, anche personale, per quanto riguarda Bocchino, mi pare ben evidenziato da quella che altrimenti potrebbe apparire solo una furbata, o una crosettata, seguendo il fortunato esempio dell’attuale ministro della Difesa nonché cofondatore di Fratelli d’Italia, che ha passato gli ultimi anni e l’intera campagna elettorale delle politiche a parlare in tv e sui giornali come uomo della società civile, libero e indipendente, ormai del tutto fuori dalla politica. Mi riferisco allo scambio seguente:
«Scurati dice alla destra: il 25 aprile non vi riguarda. Sbaglia: il 25 aprile è di tutti».
Ma siete voi che non lo riconoscete.
«Perché dice voi?»
Voi della destra meloniana.
«Loro. Io non rappresento Fratelli d’Italia, sono un’opinionista d’area».
Il motivo per cui oggi Ignazio La Russa è presidente del Senato mentre Bocchino è un semplice «opinionista di area» sta tutto nella (per loro) dolorosa vicenda del Pdl, da cui il primo è uscito a destra, con l’operazione di restaurazione nostalgica dell’esperienza del Msi-An (compresa la Fiamma del simbolo, che Fini aveva lasciato sulla soglia del partito berlusconiano), e il secondo al centro, nel tentativo di portare la svolta finiana di An alle sue più estreme conseguenze. Questo è il motivo per cui, quando i dirigenti di Fratelli d’Italia, a partire da Giorgia Meloni, rispondono stizziti a qualsiasi domanda sul loro rapporto con il fascismo dicendo di aver già chiuso i conti da anni con quella storia, dicono allo stesso tempo il vero e il falso, facendo in realtà il gioco delle tre carte. Perché quei conti li avevano chiusi già in An, con Fini, ma li hanno voluti riaprire, eccome, con Fratelli d’Italia, che rispetto al partito di Fiuggi si colloca anni luce più a destra, anche nell’ambiguità del rapporto con quel passato. Per questo motivo la teoria del si fa ma non si dice con cui Bocchino vorrebbe farci credere che in cuor loro i dirigenti di Fratelli d’Italia siano diventati tutti, e da tempo, fieramente antifascisti – ma se non c’è mamma e papà, tra loro poi si fa, quel che hanno fatto tutti, è vero, ma… – non è credibile, anzi è l’esatto contrario della verità. Ed è la sua stessa parabola, e il suo stesso evidente imbarazzo, a testimoniarlo oltre ogni ragionevole dubbio.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.