A due giorni dall’attacco con cui l’Iran nella serata di sabato 13 aprile ha lanciato più di trecento tra droni e missili contro obiettivi governativi e militari israeliani, non è ancora chiaro cosa farà Israele. Se e come risponderà. Il 14 aprile la riunione del gabinetto di guerra si è conclusa senza una decisione. Un altro incontro è previsto nei prossimi giorni. Il ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz ha già detto che il Paese è deciso a rispondere «nei modi e nei tempi che riterremo opportuni». Ma dal vertice del G7 il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso pieno sostegno a Tel Aviv, promettendo che Washington interverrà in difesa come accaduto, ma evitando di scatenare un conflitto in tutto il Medio Oriente. E nel caso di attacco, ha specificato, Israele sarà da sola e le forze americane non parteciperanno.
L’attacco di sabato da parte dell’Iran è stato quasi del tutto neutralizzato dai sistemi di difesa israeliani, anche grazie alla collaborazione di diversi alleati internazionali, in primis Stati Uniti, Regno Unito e Francia, ma anche alcuni Paesi arabi dell’area come la Giordania. Secondo quanto ha riferito l’esercito israeliano, droni e missili iraniani sono stati al 99 per cento intercettati prima di arrivare in territorio israeliano. Non ci sono state vittime, ma una bambina di dieci anni è stata colpita dai resti di un missile ed è in condizioni gravi.
Ieri si è riunito anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il segretario generale Antonio Guterres ha giudicato l’attacco dell’Iran come una aggressione capace di mettere a rischio l’intera stabilità globale. L’eventuale risposta la deciderà lo Stato ebraico, ha detto, però deve non essere immediata ed evitare il territorio iraniano, prendendo magari di mira le milizie alleate nei paesi limitrofi. Questo non solo per prevenire l’escalation, ma anche perché Israele, oltre a fermare i missili, ha ottenuto un successo politico e diplomatico che sarebbe sbagliato sprecare.
E in effetto, dopo i contrasti per la strategia di Netanyhau, culminati nell’astensione americana sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, Biden è tornato a serrare l’alleanza davanti alla minaccia comune iraniana. Diversi analisti fanno notare che la situazione che si è creata dopo l’attacco dell’Iran ha fatto di nuovo guadagnare a Israele una certa solidarietà da parte di altri Paesi, dopo che negli ultimi mesi era stato progressivamente isolato a causa della durissima invasione della Striscia di Gaza. Come ha scritto Haaretz, potrebbe essere «un’opportunità strategica per Israele» per rinsaldare i rapporti con i Paesi arabi dell’area che hanno collaborato a difenderlo contro l’Iran.
Ma la paura americana è quella che il governo israeliano voglia innalzare il livello dello scontro, con conseguenze incontrollabili, per ragioni politiche interne. Ma il presidente Biden non può dare l’impressione che gli Stati Uniti non siano determinati a difendere Israele, anche perché l’Iran è stato supportato dalle milizie in Iraq, Siria e Yemen.
La Cina ha richiamato alla calma a tutte le parti, mentre il rappresentante iraniano all’Onu Amir Saeid Iravani ha scritto che la questione dell’uccisione di Mohammad Reza Zahedi da parte di Israele «può considerarsi conclusa» con l’attacco di sabato, a patto che Israele e Stati Uniti non rispondano con un altro attacco. Molto dipende da quanto Netanyahu saprà resistere alle pressioni dei membri più estremisti del governo, che chiedono una risposta violenta contro l’Iran. D’altro canto, però, sembra difficile che Israele rinunci del tutto a una risposta.