Raid su DamascoL’Iran studia le ritorsioni contro Israele per l’uccisione del generale Zahedi

Un attacco aereo ha colpito le strutture diplomatiche iraniane in Siria. Teheran ha dichiarato che è stato effettuato da velivoli israeliani. Almeno sette persone sono state uccise, tra cui l’alto comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane

(SANA via AP)

Un attacco aereo ha colpito le strutture diplomatiche iraniane a Damasco, capitale della Siria. L’Iran ha dichiarato che l’attacco è stato effettuato da velivoli israeliani. Almeno sette persone sono state uccise, tra cui Mohammad Reza Zahedi, alto comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. L’esercito israeliano non ha rilasciato commenti, ma Teheran ha promesso ritorsioni.

Israele bombarda gli iraniani in Siria perché vuole evitare che lo Stato confinante diventi, con la compiacenza del dittatore Bashar el Assad, una piattaforma per lanciare attacchi contro le città israeliane da distanza ravvicinata. Ecco perché gli attacchi intensi di Israele in territorio siriano – spiega Repubblica – sono un fatto regolare. Due giorni prima del raid su Damasco, i jet israeliani avevano bombardato una base militare ad Aleppo e avevano ucciso trentotto soldati siriani e sette uomini di Hezbollah. Queste operazioni vanno avanti fin dal 2013, ma dopo il 7 ottobre sono aumentate.

Zahedi è l’undicesimo ufficiale dei Guardiani della rivoluzione iraniana localizzato in Siria e ucciso da Israele a partire dal 7 ottobre 2023. Un veterano con decenni di militanza e, dal 2008, capo del settore siriano. È il comandante iraniano più alto in grado a essere ucciso dal gennaio 2020, quando un drone americano colpì il generale Qassem Suleimani sulla strada dell’aeroporto di Baghdad. Ed è stato ucciso in pieno giorno durante una riunione strategica in territorio dell’Iran – perché l’edificio distrutto era su terreno dell’ambasciata a Damasco, quindi per la legge internazionale sul suolo iraniano. All’incontro erano presenti anche il generale iraniano Hossein Aminullah, il suo vice per gestire i dossier Siria e Libano, e il generale iraniano Haj Rahimi, che dirigeva le operazioni in Palestina. E secondo alcuni canali delle milizie filoiraniane, c’erano anche rappresentanti di fazioni palestinesi per decidere che cosa fare nei territori palestinesi.

L’Iran, secondo fonti interne di Hamas, ha preso la decisione strategica di non aiutare il gruppo palestinese nelle ore e nei giorni successivi all’attacco del 7 ottobre, e non ha gettato le sue milizie in una guerra totale al fianco di Hamas. Fu anzi l’Amministrazione Biden a fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu perché non aprisse un secondo fronte in Libano oltre a quello di Gaza.

C’è ora il problema della reazione. L’Iran non può permettersi di reagire, perché se bombardasse in via diretta bersagli in Israele darebbero il via a un’escalation imprevedibile, che è quello che ha voluto evitare fino a oggi. Ma non può nemmeno permettersi di non reagire, perché sarebbe un segnale di debolezza.

Quando fu ucciso Suleimani nel gennaio 2020, i militari iraniani risposero con il bombardamento delle basi americane in Iraq per una notte soltanto, senza vittime, in modo che ciascuna parte si potesse ritenere soddisfatta. Ma è escluso che possano coordinarsi con Israele per fare il bis di quello che fecero quella notte.

Le milizie filoiraniane lanciano svariate operazioni minori ogni giorno contro obiettivi israeliani al confine libanese, dove il gruppo Hezbollah spara missili e mortai, e nel Mar Rosso, dove gli Houti prendono di mira le navi da guerra e commerciali.

L’Iran per ora prende tempo e dice che la vendetta arriverà al momento e nel luogo giusto. Ma ancora una volta c’è il rischio di una guerra regionale. Il ministro degli Esteri iraniano ha scritto in un post su X che «gli Stati Uniti devono rispondere» per le azioni di Israele.

 

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