La Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l’articolo 4 del ddl sul premierato elettivo, il secondo dei due pilastri della riforma Casellati-Meloni. Dopo il voto sull’elezione diretta del premier, è arrivato il sì al potere di scioglimento delle Camere da parte del presidente eletto e la cosiddetta norma anti-ribaltone. Il testo verrà ancora parzialmente modificato in Aula per questioni lessicali, ma di fatto il vero potere di scioglimento è totalmente nelle mani del premier e al presidente della Repubblica restano ben pochi poteri.
Come riporta Paola Di Caro nel suo articolo sul Corriere della Sera, «in caso di dimissioni del capo del governo (non si specifica più «volontarie» come invece era in precedenza) “questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone”. Dunque, per qualunque motivo le dimissioni vengano date, ad esempio qualora non ottenga la fiducia su un atto parlamentare, è possibile che il premier chieda di tornare al voto. Voto che è obbligato se è stata presentata una mozione di sfiducia motivata». È chiaro che mettere alle strette un premier sarà molto difficile, dal momento che avrà la possibilità di chiedere lo scioglimento delle camere e mandare tutti a casa.
Se invece il premier non dovesse chiedere di tornare al voto – e «nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza» – allora tornerebbe in gioco il capo dello Stato, che può «conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo» al premier dimissionario (che potrebbe fare un rimpasto o aggregare un altro partito) oppure «a un altro parlamentare eletto in collegamento» con il premier.
Il Manifesto commenta la notizia sul voto in Commissione Affari costituzionali di ieri dicendo che ci sono da fare due considerazioni, una politica e una seconda istituzionale. «A livello politico – si legge nell’articolo firmato da Kaspar Hauser – il passaggio di ieri segnala un elemento di coesione del centrodestra e di debolezza delle opposizioni; a livello istituzionale va registrata ancora confusione, tanto che la stessa maggioranza ha annunciato che il testo appena approvato cambierà in Aula, con una esplicitazione che il vero obiettivo della riforma è ingabbiare il Quirinale».
La prima contraddizione sarebbe nella formulazione. Si legge ancora nell’articolo: «Secondo una lettura il presidente della Repubblica potrà respingere la richiesta di scioglimento delle Camere. La ministra Casellati ha affermato che la richiesta del premier è “insindacabile” per il capo dello Stato, ma linguisticamente non è certo. Di qui la riformulazione del testo proposta da Marcello Pera e dal relatore Alberto Balboni che toglierebbe ogni dubbio, nella direzione di un presidente della Repubblica ridotto a semplice “notaio” dei desiderata del premier, secondo l’espressione di Dario Parrini (Pd) e del leghista Paolo Tosato, o addirittura “maggiordomo”, secondo le parole di Alessandra Maiorino (M5S)».