La questione salariale italiana non riguarda solo le fasce dei lavoratori poco qualificati, ma anche quelle più alte dei lavoratori più qualificati. Spesso incastrati in percorsi di carriera congelati, con salari bassi e rarissime promozioni.
La questione era venuta fuori già nel Randstad Workmonitor: per la grande maggioranza dei lavoratori italiani il problema è che è sempre più difficile ottenere aumenti e avanzamenti di carriera.
- solo il 34 per cento sente di poter parlare liberamente con il proprio capo delle aspettative di carriera.
- quasi metà (49 per cento) in passato ha richiesto al proprio capo un miglioramento di condizioni o retribuzione, senza ottenerlo.
- nel 60 per cento dei casi, il datore di lavoro italiano non parla mai di possibilità di avanzamento di carriera.
L’ultima indagine “Upskilling e Reskilling” della piattaforma Infojobs conferma come poche aziende italiane (42,9 per cento) provino a trattenere i propri talenti, sempre più desiderosi di cambiare lavoro per crescere economicamente e professionalmente.
Le aziende che invece hanno deciso di non fare nulla per trattenere i talenti in fuga dicono nella maggior parte dei casi (56 per cento) che sono convinte della prestigiosità e dell’ottimo ambiente di lavoro fornito, mentre il 33,6 per cento non ha abbastanza fondi per poter fare delle offerte economiche migliorative.
«Il problema dei bassi salari c’è ovunque, anche nel lavoro qualificato, e potrebbe essere causato da una mancanza di concorrenza tra imprese nel procacciarsi i lavoratori. Per dirla più chiaramente: possono permettersi di pagarli poco»,
ha detto Tito Boeri
Lo ha spiegato bene anche l’economista Marco Leonardi. Il problema dei salari bassi italiani riguarda anche la mancanza – tra i lavoratori full time – di posizioni alte, con pochi salari sopra i 40mila euro lordi annui. Nel 2021 solo il 9 per cento aveva una busta paga sopra questa cifra: troppo poco.
Le motivazioni sono diverse. C’è l’incapacità dell’Italia di attrarre nuove imprese per aumentare la concorrenza, ma anche la difficoltà delle aziende medie e grandi di rinnovare le gerarchie aziendali, offrendo retribuzioni e percorsi di carriera stimolanti. Con i giovani che, da vent’anni, sono sempre più spinti in fondo alle piramidi aziendali, mentre i più anziani restano al comando con stipendi più alti.
Senza dimenticare che – caso unico in Europa – conta anche il trattamento fiscale di favore riservato in Italia ai lavoratori autonomi fino a 85mila euro. Il che fa sì che convenga sia all’azienda sia al lavoratore un rapporto di lavoro autonomo anziché dipendente sopra i 40mila.
Non meravigliamoci allora se i manager italiani emigrati all’estero non abbiano nessuna voglia di tornare in Italia. Solo il 22,8 per cento dice di vuole rientrare, la metà di dieci anni fa. Per l’80 per cento lavorare all’estero premia il merito, al contrario dell’Italia, e tre su cinque ritengono di poter cogliere maggiori opportunità di crescita professionale fuori dai confini nazionali.
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