Fermati Elly, fermati adesso: e lei si è fermata. Dopo ventiquattr’ore di ennesimo psicodramma, grande specialità della casa, Elly Schlein si è resa conto che anche il donchisciottismo ha un limite, e dunque ha rimesso nel cassetto l’idea di inserire il suo nome nel logo del Pd cosa che, a suo dire, avrebbe portato voti, ma era risultata «divisiva», aggettivo in realtà blando rispetto alla sollevazione generale che si era registrata fuori e dentro il partito.
Un’idea che – secondo quando risulta a Linkiesta – è stata privatamente criticata anche da Sergio Mattarella che a qualche interlocutore ha mostrato il suo fastidio per questa improvvisa scelta di personalizzare il confronto politico, una idea, notiamo noi, estranea alla cultura dei cattolici democratici.
Dopo la bordata pubblica di Romano Prodi contro chi si candida e poi resta in Italia, si era anche aggiunta, e con forza, la capolista al Sud Lucia Annunziata che intelligentemente aveva aggiunto un altro argomento fortissimo, in sostanza chiedendo come fosse possibile battersi contro l’elezione diretta del premier e contemporaneamente personalizzare così il partito: «La scelta del nome nel simbolo mette il Pd sulla strada dell’accettazione dello stesso modello. Su molte cose in un partito si può mediare, ma non su questioni di questo rilievo». Meglio lasciar perdere. E tuttavia il danno d’immagine era ormai stato fatto.
Questa disavventura tra l’altro ha svelato un dato politico interno molto serio, e cioè che Schlein non dispone più con certezza di una maggioranza, ma se la deve cercare di volta in volta, dato che la sinistra interna per la prima volta l’ha mollata e che tutti i grandi vecchi s’interrogano sulla tenuta politica della segreteria: e dunque non parliamo di una leader sotto tutela, ma indebolita sì.
Resta così tutto come prima, con Schlein capolista solo al Centro e nelle Isole: anche lo spauracchio di inserirsi in tutte le circoscrizioni è stata una pistola scarica, le liste erano state chiuse dalla direzione, impensabile rimettervi mano. Vicenda chiusa con perdite evidenti. E tutto questo nel giorno stesso in cui il Pd è andato incontro alla «ennesima batosta», come diceva Nanni Moretti in Ecce bombo, batosta attesa e dunque psicologicamente già digerita.
In Basilicata il Pd ne aveva combinate troppe per poter pensare di essere competitivo contro il presidente di destra uscente, Vito Bardi, che ha rifilato un bel po’ di punti allo sfidante Pd-M5s Piero Marrese. Una competizione stranissima, questa della Basilicata, che alla fine pesa molto meno della leggendaria Sardegna, quando parve che i tempi stessero per cambiare, o dell’Abruzzo, che ci disse che i tempi non stavano cambiando affatto. Ora il Pd parte per l’avventura europea con una segretaria che deve superare, e bene, il venti per cento. E forse non basterà neanche, a chi già chiede una nuova fase.