Quando lo scorso 21 settembre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha ricevuto a Palazzo Piacentini, a Roma, il Rapporto su Space Economy, Space Industry e Space Law, sembrava che fosse finalmente il momento per mettere ordine alla circolazione oltre atmosfera sui territori italiani e altre attività riguardanti lo spazio.
A consegnargli il documento, il presidente di Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, Luciano Violante, il direttore di Space Economy Evolution Lab (See Lab) e professor of practice di Space economy presso la Sda Bocconi School of Management Simonetta Di Pippo e il presidente dell’European Centre for Space Law (Ecsl) e professore di Space Law all’Università Sapienza di Roma Sergio Marchisio.
Un documento corposo, con numerosi spunti necessari al governo per normare quanto concerne in materia di spazio nel Paese, principalmente in un contesto in cui il settore sta sempre più migrando dall’ambito istituzionale a piani di business di imprenditori privati.
I principali criteri su cui si è basato il prospetto presentato dai tre tra i principali esperti del settore riguardano la mitigazione dei detriti orbitali e la sostenibilità del comparto, il mutuo rispetto delle attività spaziali altrui e il divieto d’interferenze nocive, la trasparenza e la condivisione delle informazioni su missioni spaziali, in conformità alla legislazione applicabile e all’obbligo di autorizzazione per operatori privati nell’esercizio delle loro attività.
L’Italia, terzo contributore all’Agenzia Spaziale Europea, ha liberato circa tre miliardi di euro nell’ultimo incontro dei ministri europei e 2,3 miliardi impegnati nel Pnrr: cifre importanti per un Paese che vanta di disporre di industrie e centri di alta tecnologia dedicati al settore
Simonetta Di Pippo, che vanta una lunga esperienza nell’Esa e alle Nazioni Unite, spiega a Linkiesta: «Il rapporto Space Economy, Space Industry, Space Law è stato elaborato in modo partecipato, coinvolgendo pubblicamente oltre centocinquanta addetti del settore nel nostro Paese. Si tratta di una attività di ricerca accademica che ha l’ambizione di fornire una base di discussione per futuri sviluppi, in particolare normativi, considerando che in Italia una legge nazionale sullo spazio, che recepisca tutti i dettami della legge spaziale internazionale, è dovuta da tempo. «Abbiamo voluto però guardare con altrettanto interesse al comparto industriale, che necessita di attenzione anche normativa per potersi sviluppare e rafforzare in modo armonico e sostenibile».
Si attende ancora una risposta dal governo; il ministro Urso pur avendo assicurato che l’Italia avrebbe avuto la sua legge spaziale a marzo di quest’anno, non l’ha presentata alla riunione del G7 di Verona il 14 dello scorso mese. Così aveva promesso.
Nel frattempo è stata smentita la notizia che a breve l’europarlamento – che è ormai in scadenza di mandato – avrebbe a giorni presentato una legge spaziale che se ratificata in Italia, vanificherebbe il lavoro svolto sino a ora a livello nazionale.
È di poche ore l’annuncio di Thierry Breton, commissario per il Mercato interno e i Servizi: «Non avremo la legge spaziale entro questa legislatura. Stiamo entrando in campagna elettorale e tutti dobbiamo comprendere». A questo il deputato ecologista tedesco Niklas Nianass ha replicato: «Ogni giorno senza questo insieme di regole rischiamo il fallimento totale nello spazio».
È evidente che la Commissione non sia in grado di presentare un progetto di legge così importante entro dieci mesi. Del tema quindi dovrà farsi carico la prossima legislatura e forse questo spiega la mancanza di chiarezza nella proposta del testo, se come direttiva o altro atto giuridico, quale regolamento o decisione. In questo caso però quanto sanciranno i deputati europei dovrà superare il disposto dell’art. 189 del Trattato di Lisbona che impedisce qualsiasi autorità dell’Unione nelle sovranità nazionali.
Non è ancora chiaro cosa abbia impedito il prosieguo dell’iter a Breton, esponente di una dottrina eurofrancese o francoeuropea che in sintesi significa che l’Unione europea funziona bene quando si sono eseguite le volontà di Parigi. Quanto si sa è che i punti chiave del documento erano stati codificati tra le priorità della Commissione per il 2024 presentati il 13 settembre dello scorso anno dalla presidente Ursula von der Leyen, nel quadro dello Stato dell’Unione in merito a sicurezza, resilienza e sostenibilità delle attività e delle operazioni spaziali superando l’eterogeneità e la mancanza di legislazioni spaziali di alcune nazioni – tra cui ancora evidentemente l’Italia – garantendo nel contempo la competitività del settore spaziale europeo in un contesto commerciale internazionale.
L’interesse dell’Unione europea è comprensibile, come deve essere di tutti gli Stati membri compresa l’Italia, dal momento che nel Vecchio continente si punta a investimenti spaziali che aiutino i cittadini nella loro vita quotidiana e affrontino anche le attuali sfide globali. Perché è assodato che una sana politica spaziale contribuisce a creare posti di lavoro e a stimolare la crescita svolgendo un ruolo cruciale nel sostenere la duplice transizione verso un modello economico verde e digitale, rafforzandone l’autonomia strategica.
È assodato che una sana politica spaziale contribuisce a creare posti di lavoro e a stimolare la crescita svolgendo un ruolo cruciale nel sostenere la duplice transizione verso un modello economico verde e digitale, rafforzandone l’autonomia strategica, e perciò è comprensibile l’interesse dell’Europa.
Ora, se l’impianto dell’europarlamento intenderà semplificare il quadro giuridico e il sistema di governance dell’Ue esistenti, il fatto che possa mirare a uniformare il quadro di sicurezza e raggruppare sotto un unico ombrello i programmi comuni quali Copernicus, Galileo ed Egnos, fa temere che un’omologazione così spinta dei satelliti di proprietà dell’Unione o di quelli degli Stati membri che offrono servizi, andrebbe principalmente a vantaggio dei produttori più forti – e tra questi non c’è l’Italia che è azionista di minoranza della joint venture con la Francia di Thales Alenia Space – danneggiando così le start-up e le imprese emergenti.
Probabilmente, ce lo auguriamo, il testo della legge nazionale è pronto e il suo iter è in dirittura di arrivo, ma occorre far presto, far prima di qualsiasi ostacolo europeo perché, in questo caso come in altri, il meglio è nemico del bene. Sarà questa l’attenzione a cui dovranno tener fede le nostre istituzioni se vorranno e dovranno proteggere e sostenere un segmento industriale di alto valore strategico, politico e industriale che vive e prospera nel nostro Paese.