Pronti a tuttoI Baltici si stanno armando (ed esercitando) per scongiurare il pericolo russo

Estonia, Lettonia e Lituania temono sempre di più un’invasione da parte di Mosca. Anche per questo gli alleati della Nato stanno rafforzando la loro capacità di deterrenza

AP/Lapresse

“I veri amici si vedono nel momento del bisogno”, recita un famoso detto popolare. È per questo che i rappresentanti di Estonia, Lettonia, Lituania sono corsi, o per meglio dire, volati (insieme all’Islanda) in Georgia per supportare la nazione contro le ingerenze imperialiste di Vladimir Putin. I Paesi del Baltico più di tutti gli altri in Europa (Ucraina esclusa) possono raccontare cosa significhi percepire il pericolo rappresentato dalla Russia. Un pericolo che va oltre il loro territorio, ma si estende all’Unione europea e alla Nato. Per questo motivo i tre Stati hanno già raggiunto l’obiettivo prefissato dall’Alleanza Atlantica del due per cento del Pil nella spesa militare. Il tutto per cercare di spegnere le mire espansionistiche del Cremlino.

«I Paesi Baltici sono consapevoli che da soli non possono porre una resistenza efficace a un’eventuale invasione russa – spiega a Linkiesta Alessandro Marrone, responsabile del programma “Difesa” dell’Istituto affari internazionali – però sono altrettanto consapevoli che più aumentano le loro forze armate, più hanno un capitale politico per poter dire agli alleati “noi stiamo facendo il massimo”».

Dopo aver preso in seria considerazione la possibilità di inviare truppe in Ucraina, l’Estonia ha alzato la sua spesa militare al 3,4 per cento del Pil, ha intensificato le esercitazioni Nato e ha organizzato addestramenti militari con volontari civili per la guerra in trincea. La Lettonia sta producendo veicoli militari propri, oltre a rifornire Kyjiv, mentre la Lituania (oltre a voler mandare anche lei truppe in Ucraina) in questi giorni si è esercitata con la Spagna nella difesa aerea e di terra. Tutto questo perché un’eventuale invasione di un territorio Nato o dell’Unione europea, senza una reazione, significherebbe la fine di queste organizzazioni.

Ma i Paesi Baltici non si stanno solo rafforzando internamente: «Stanno operando anche a livello unilaterale – dice Marrone – Polonia, Finlandia, Svezia, Norvegia, Germania e Danimarca sono i primi interlocutori quando si tratta di rifornimenti, logistica, protezione dello spazio aereo e afflusso di rinforzi. I Paesi Baltici di per sé non hanno una profondità strategica a causa della loro dimensione geografica, ma la possono avere cooperando strettamente con i Paesi limitrofi. In questo modo possono contare su basi militari, forze aeree, navali e su rinforzi terrestri vicini e quindi di più rapida attivazione».

Dimensione nazionale, regionale e poi c’è il livello Nato: negli ultimi due anni il Patto atlantico ha pianificato azioni di difesa anche nell’area Baltica, una delle zone più sensibili del fronte Est. Si sono simulate situazioni di crisi in caso di attacco e in caso di guerra prolungata. «Le esercitazioni servono proprio a testare questi piani – afferma Marrone – sono basate sull’assunto di scenari di diverso tipo come attacco aereo, terrestre, navale o multi dominio e si testano simulando gli spostamenti, le perdite, i tempi, le difficoltà di quello che accadrebbe con una risposta integrata». In questo modo, ogni piano di azione viene dettagliato e definito a livello approfondito e questo fornisce la cornice dove devono operare gli stati nazionali.

La Germania guida il battaglione Nato in Lituania, il Regno Unito in Estonia e il Canada in Lettonia (dove ci sono anche duecento soldati italiani). Queste truppe creano un ponte per far sì che la prima linea di difesa sia facilmente accessibile ai rinforzi. Inoltre, un eventuale attacco innescherebbe il meccanismo delle alleanze e le forze politiche di Germania e Gran Bretagna avrebbero un motivo politico interno per intervenire.

Dopo l’attacco russo all’Ucraina del febbraio 2022, la presenza Nato nella regione baltica è aumentata: «Si sta passando da una forward presence a una forward defense – spiega Marrone –. La Germania, che ha un battaglione di poco più di mille unità, si è impegnata a passare al livello di brigata quindi a un ordine di grandezza di diverse migliaia di unità. Si stanno anche posizionando depositi di munizioni e allestendo snodi logistici. In pratica, si sta passando all’idea che, in caso di un attacco russo, si è pronti a combattere e ulteriori rinforzi arriveranno in modo molto rapido».

L’invasione dell’Ucraina, e il conseguente aiuto da parte dell’Occidente, ha fatto sì che la minaccia di un attacco da parte di Mosca alla Nato passasse dall’essere “impossibile”, all’essere “improbabile”. Come spiega Marrone, il Cremlino è sempre più pronto per un conflitto armato e duraturo: «La leadership russa si è dimostrata propensa al rischio, capace di imporre sacrifici alla propria popolazione, è stata in grado di trasformare la propria economia in un’economia di guerra (le fabbriche fanno turni di lavoro ininterrotti), spende il sei per cento del Pil nella difesa e l’opposizione non esiste. Per questi motivi non si può escludere un attacco ai Paesi baltici».

Inoltre, in questo momento l’esercito russo ha un’esperienza di combattimento su larga scala ad alta intensità prolungata. Esperienza che manca ai paesi Nato. Per questo motivo, l’Occidente sta potenziando la deterrenza su tutto il confine orientale dell’Alleanza atlantica. «Più è efficace la deterrenza, più l’ipotesi di invasione rimane remota – dice Marrone -. Meno siamo pronti e più è probabile perché Putin interpreta questo gesto di distensione come una debolezza. Le conseguenze si sono viste in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014 e 2022».

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