La bellicosità del maleLa Nato deve prepararsi a una possibile guerra con la Russia

Gli intellettuali russi ne parlano apertamente da tempo, in Occidente si fa finta di niente. Per questo Mosca potrebbe avere buon gioco a sfidare l’Alleanza Atlantica, in un conflitto basato sull’assunzione di rischi

AP/Lapresse

Una guerra della Russia contro la Nato è possibile, forse anche probabile, di sicuro è più credibile di quanto molti credano. L’avvertimento arriva da Fabian Hoffmann, ricercatore per l’Oslo Nuclear Project dell’Università di Oslo, esperto di politiche di difesa, tecnologia missilistica e strategia nucleare, che in un thread su X (ex Twitter) ha descritto uno scenario in cui l’Alleanza Atlantica, e in particolare i suoi Paesi europei, dovrebbe prepararsi allo scontro con Mosca. E quindi organizzarsi per ripristinare un potere di deterrenza nei confronti della Russia in brevissimo tempo per evitare un conflitto armato.

«La guerra in corso in Ucraina sta insegnando alla Russia una lezione cruciale: l’Occidente manca di risolutezza», scrive Hoffmann. «La disunità interna e le infinite discussioni sull’escalation non fanno altro che rafforzare la convinzione della Russia che la Nato si tirerà indietro quando arriverà il momento critico». E se a una prima lettura può sembrare un giudizio negativo sentito e risentito contro la scarsa unità d’intenti dell’Occidente sul fronte della politica estera e di difesa, in realtà Hoffmann vuole suggerire che la Russia non dovrà aspettare a lungo – leggi, il ricostituirsi della sua piena forza bellica dopo i danni subiti durante il conflitto con l’Ucraina – per immaginare una guerra con la Nato. Secondo lui, gli scenari in cui il Paesi Nato hanno cinque o addirittura dieci anni per riarmarsi dopo la fine della guerra sono fin troppo ottimistici. Come detto, i tempi sarebbero molto più stretti, un paio d’anni, forse tre.

L’Alleanza Atlantica, allora, deve inibire la Russia dall’intenzione di impadronirsi di qualsiasi parte sostanziale del suo territorio, e anche di minacciare attacchi contro le infrastrutture critiche dei Paesi Nato. Significherebbe, per l’Occidente, un cambio sostanziale nel modo in cui vengono gestite queste operazioni: «Dobbiamo discutere seriamente non solo su come scoraggiare una guerra con la Russia, ma anche su come combatterla. Siamo pronti a reagire colpendo le infrastrutture civili critiche russe nel caso in cui la Russia colpisse per prima le nostre? Come reagiamo al primo utilizzo russo della potenza nucleare?», si chiede Hoffmann.

In particolare, l’analista denuncia un’endemica mancanza di preparazione occidentale – anche in termini di capacità cognitiva di immaginarsi in un quadro politico-militare di questo tipo – che fa tutto il gioco del Cremlino e dell’autocrate che lì siede nella stanza dei bottoni. Tra i Paesi Nato infatti non c’è ancora una vera discussione tra esperti su come preparare, condurre e vincere una guerra contro Mosca, mentre a Mosca ci stanno già pensando, e non da oggi. «Dal 2014 gli intellettuali russi discutono ampiamente e pubblicamente su come vincere una guerra contro la Nato. Dov’è il nostro dibattito?», scrive Hoffmann.

L’origine degli errori occidentali sta in una criticità procedurale, un errore comune nell’analizzare la minaccia posta dalla Russia, che sta nella cosiddetta trappola dell’“immagine speculare” (Mirror Imaging Bias): un bias cognitivo che si verifica quando si proiettano le proprie convinzioni, prospettive e motivazioni sugli altri, presupponendo che pensino e agiscano nel nostro stesso modo. Implica dare per scontato che gli altri abbiano i nostri stessi valori, desideri e processi decisionali, senza considerare la possibilità che diversi fattori culturali, sociali o individuali possano influenzare i loro comportamenti. Nello specifico, la Nato dà per scontato che la Russia veda un potenziale conflitto con lei nello stesso modo in cui la Nato stessa considera un potenziale conflitto con Mosca. Ma la realtà non è proprio così.

La Russia infatti non sta pianificando una guerra convenzionale su larga scala con la Nato, del tipo che sta attualmente conducendo in Ucraina. In uno scenario del genere il Paese di Vladimir Putin sarebbe ovviamente sconfitto – non è solo un parere di Hoffmann, è una semplice misura dei rapporti di forza. Inoltre, è importante essere cauti nel trarre troppe lezioni dal conflitto in Ucraina e nel dare per scontato che una guerra Nato-Russia si svolgerebbe in modo simile.

Mosca immagina, con la Nato, una guerra imperniata sui concetti di “controllo” e “gestione” dell’escalation (escalation control and escalation management). La priorità del Cremlino sarebbe quella di gestire efficacemente l’escalation e porre fine rapidamente alla guerra con la Nato strappando condizioni favorevoli alla Russia. In questo modo, potrebbe evitare di misurarsi in uno scontro con la superiorità militare convenzionale della Nato, in particolare quella degli Stati Uniti.

Allora piuttosto che sconfiggere completamente i Paesi dell’Alleanza in una guerra prolungata, la dottrina russa suggerisce delle prove di forza crescenti, delle dimostrazioni della sua capacità di infliggere danni progressivamente maggiori sul territorio Nato, per costringere la Nato a ritirarsi dalla guerra. Ci sarebbero, quindi, attacchi a lungo raggio contro infrastrutture civili critiche nei Paesi europei della Nato. Il messaggio che manderebbe ai governi, dalla penisola iberica all’Europa centrale, sarebbe del tipo “provare a sostenere gli alleati dell’Europa orientale porterebbe grandi sofferenze alla vostra popolazione”. Inoltre, la Russia punterebbe ad ampliare il più possibile la portata della sua minaccia nucleare sul Vecchio Continente, in modo da scoraggiare ogni tentativo di riconquista dei territori aggrediti nei primi assalti, suggerendo che ogni tentativo di riconquistare terreno porterebbe a un’escalation nucleare.

«La paura psicologica di un’escalation, che alla fine potrebbe provocare danni inaccettabili, dovrebbe aprire la porta ai negoziati sul futuro della Nato e sull’architettura di sicurezza in Europa, ovviamente alle condizioni della Russia», scrive Hoffmann.

Più che un classico scontro di forze, questo tipo di confronto sarebbe definito come una competizione di assunzione di rischi. La domanda da porsi, in questo scenario, è: chi sarà il primo a fare marcia indietro di fronte alla prospettiva di una guerra su larga scala, compresi potenziali scambi di testate nucleari strategiche? E in questi casi – come insegna la Guerra Fredda – non è la mera potenza militare a essere decisiva in una guerra all’assunzione di rischi, ma la risolutezza, la volontà di potenza, la capacità di rimanere saldi sulle proprie posizioni anche in caso di aumento del rischio e dei pericoli (anche quelli nucleari). Ecco perché la Russia persegue questo tipo di strategia: non avrebbe bisogno di eguagliare la potenza convenzionale della Nato. Finché la Nato è il soggetto che verosimilmente cede prima in una crescente pressione psicologica dovuta alla mancanza di risolutezza, la Russia può portare a casa una vittoria.

Allora, ciò di cui abbiamo bisogno come Paesi Nato, soprattutto in Europa, dice Hoffmann, «è lo sforzo di tutta la società per mettere ordine nei nostri affari. Non si può negare che ciò comporterà un costo significativo, ma non ci sono altre opzioni praticabili. Considerando gli scenari peggiori, come dovremmo, il tempo è già scaduto».

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